sabato 12 maggio 2007

VAURO SUL FAMILY DAY E' INACCETTABILE E CONTROPRODUCENTE

Pubblico qui il testo di una lettera inviata oggi alla redazione del Manifesto, in merito alla vignetta di Vauro riportata qui sotto e apparsa oggi sulla prima pagina del quotidiano romano.

La vignetta di Vauro di oggi sul Family Day è indecente, inappropriata, controproducente e non fa nessun onore al suo (spesso) glorioso autore. Dimostra pochissima intelligenza e tanto qualunquismo. Un qualunquismo non diverso da quello di testate come «Libero» o «Il Giornale» che quando devono attaccare un rappresentante degenere di una certa categoria sociale, ne fanno discendere ipso facto una condanna ingiuriosa di tutta la stessa categoria (tipo “i no-global sono tutti black-block”, “gli iscritti alla Cgil sono tutti terroristi” e via dicendo…).
Soprattutto appare irritante perché riproduce una pratica insultatoria tanto cara alla destra: l’utilizzare l’insulto per parlare d’altro, schivare i problemi sul tavolo (la questione dei Dico) e spostare il confronto sul “personale” . Che a Vauro piaccia o meno, il suo tacciare tutti i preti di pedofilia e perfettamente speculare alla vulgata secondo cui tutti i comunisti mangiano i bambini, o tutti i Rom sono ladri e malviventi.

Occorre ricordare a Vauro che in molte zone d’Italia (come qui a Milano) i preti hanno in gran parte disdegnato il Family Day di Roma.
Ma occorre soprattutto ricordare a Vauro che le prime vittime del clima controriformista della chiesa attuale (di cui il Family Day è massima espressione) sono i preti stessi, i preti operai che a Brancaccio o a Salvador de Bahia, con il loro impegno quotidiano salvano decine di bambini dalla criminalità, dall’abbandono e dalla povertà. Accusare l’intera categoria di pedofilia a causa di qualche decina, forse centinaio di casi in tutto il mondo è una boutade che non aiuta assolutamente a risolvere il serissimo problema dell’ingerenza Vaticana sull’attività legislativa del parlamento italiano, ma che anzi contribuisce stupidamente e scelleratamente ad alienarsi il sostegno di tanti cattolici fortemente critici nei confronti dell’operato delle gerarchie cattoliche.

Dispiace che voi, cari amici del Manifesto, abbiate deciso di prestare il fianco ad un’operazione tanto irresponsabile e di cattivo gusto, qual è quella odierna del pur sovente ottimo Vauro.

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mercoledì 9 maggio 2007

LA SINISTRA ITALIANA E I PROCESSI SOMMARI A SEGOLENE ROYAL

E’ da domenica sera, dai primi exit poll, che sulle reti televisive e sui giornali italiani ( e presumo non solo) va in onda, in pompa magna, il processo sommario a Segolene Royal. Capo d’accusa (scontato): non aver rinnovato, riformato, modernizzato il partito socialista francese. Non aver dato vita come gli illustri colleghi italiani a un’analoga forza moderata, moderna e riformista con contorno di teodem(enti) e cicciobelli vari quale è il Partito democratico(il quale, per inciso, non ha avuto ancora alcun battesimo del fuoco alle urne e sulla cui tenuta quindi teoricamente non si potrebbe dire nulla…).
E poco conta pure che la Royal al primo turno abbia preso dieci punti in più del collega Jospin quattro anni fa, quando il partito socialista francese venne clamorosamente sconfitto dal neofascista Jean-Marie le Pen…
Il verdetto è gia emesso: Segolene Royal è colpevole perché non ha innovato, riformato, modernizzato il partito, perché si è intestardita a voler a tutti i costi difendere lo statalismo, l’assistenzialismo (già che ci siamo perchè non mettiamo tra gli –ismi anche il populismo che di questi tempi va tanto di moda?) del socialismo francese. Il che tradotto dal fassiniano significa: Segolene Royal ha perso perché ha insistito a voler credere che la sinistra debba continuare a dirsi e comportarsi da sinistra (e quindi a difendere lo stato sociale) e non debba invece trasformarsi in centro, continuando però ipocritamente a chiamarsi sinistra (come avviene in Italia). Amen.


p.s. Forse ha ragione chi, negli ultimi tempi, non si è dato tanto pena per la nascita del Partito Democratico ed anzi ne ha apprezzato l’elemento di “chiarificazione”. Prima infatti avevamo un partito di centro che si professava di sinistra ma che agiva da partito di centro, ora perlomeno abbiamo un partito di centro che agisce da centro ma si definisce - un po’ più prudentemente - di centro-sinistra.

martedì 8 maggio 2007

SHOOTER

Anche i kolossal hollywoodiani si aprono alle terie conspirazioniste sulla politica (estera) americana post-11 settembre. Accade con Shooter, il nuovo film di Antoine Fugqa nelle sale italiane dallo scorso 20 aprile.
Da un punto di vista estetico la cosa non ha grande rilevanza, dal momento che Shooter altro non è che uno dei tanti film d’azione dozzinali che Hollywood sforna copiosi ogni anno, ma dal punto di vista sociologico invece ha un qualche interesse.
La trama è semplice, finanche grossolana. Swagger (Mark Whalberg) è un eroe della guerra in Etiopia. Ha visto morire con i suoi occhi un commilitone amico, e con la sua proverbiale perizia balistica lo ha vendicato – tra profluvi di effetti speciali, ovviamente.
Tornato in patria si è ritirato a vita privata in una casa sperduta sui monti. Ma un giorno ecco bussare alla sua porta degli agenti dell’FBI. C’è da sventare un possibile attentato al presidente da parte di un cecchino: chi meglio di un tiratore scelto di riconosciuta bravura come Swagger può assolvere il compito? Dopo qualche tentennamento il veterano accetta, finendo per trovarsi incastrato in un complotto di proporzioni bibliche.
Non andiamo oltre. E sufficiente questa breve sinossi per immaginare che genere di film sia Shooter. Inseguimenti mozzafiato, continue esplosioni, scene d’azione parossistiche ed inverosimili, ralenti virtuosistici, il tutto ovviamente condito dalla necessaria dose di humor e di dialoghi scoppiettanti, in stile Die Hard. E l’inevitabile sottotrama romantica. Niente di originale quindi, seppur confezionato con grande cura.
Ma ciò che interessa di Shooter è il cambiamento di paradigma nei confronti della storia patria. Verso la metà del film il protagonista parlando con la moglie del commilitone ucciso anni prima afferma di aver accettato l’incarico per il suo senso del patriottismo tipicamente americano di cui non va troppo fiero ma del quale non riesce neppure a vergognarsi.
Sembra una frase buttata lì, ma non è così. E’ il polso della disillusione dell’opinione pubblica americana nei confronti dell’ottimismo ufficiale sulla bellicosa politica estera della presidenza Bush. Qualcosa si sta incrinando e anche un film decisamente nazional-popolare, di quelli che i teenager americani consumano nei multisala insieme agli hamburger ipercalorici di Mac Donald, può sperare in buon incasso prendendo in giro il presidente con l’elmetto. Un bel salto in avanti dai tempi di Indipendence Day.
Naturalmente non è tutto rose e fiori. Il film prosegue e la vendetta con annessa pioggia di fuoco che Swagger si prende nel finale dimostrano che anche il kolossal “progressista” Shooter, con la sua esaltazione della violenza e dell’individualismo è figlio della stessa America tronfia e vittoriana di George W. Bush. Ma, per parafrasare un noto cantautore romano, il paese non è più molto giovane e in pochi tra la vita e la morte – di fronte alle salme che ogni giorno tornano dall’Iraq – sceglierebbero l’America.

Articolo scritto per la rivista on-line Fusi Orari.

martedì 1 maggio 2007

DELL’ABIEZIONE (DELLA TV ITALIANA)

La giornalista che al Tg1 di ieri sera ha domandato ai genitori di Vanessa Russo, la ragazza morta ad opera di due ragazze romene a Roma, che pena ora s’aspettino per le assassine, quella giornalista merita solamente disprezzo e riprovazione. Ed un monumento alla scorrettezza deontologica.
Esattamente come il titolista del Tg2 che l’altro giorno ha titolato così un servizio inerente alla strage compiuta da un pirata della strada ubriaco di origine Rom: «Dolore e rabbia. Rom nel mirino». Fosse stato non dico padano, o veneto, ma semplicemente peruviano come è accaduto in un caso analogo di qualche mese fa, nessun telegiornale avrebbe titolato in quella maniera.
Gente come questa non fa giornalismo, istiga all’odio (razziale nel secondo caso).

Forse dopo il periodo berlusconiano, la televisione italiano è formalmente più libera, ma non è necessariamente migliore qualitativamente.
Basta dare un ‘occhiata al Tg2 di Mauro Mazza, dove la politica è sempre confinata in uno spazietto misero nella seconda parte del giornale, a causa di una politica di “emancipazione della cronaca” il cui obbiettivo non dichiarato è instillare una paura diffusa (che come si sa, da che mondo è mondo, spinge sempre a destra le masse silenziose) attraverso la descrizione stolidamente compiaciuta di ogni più minimo ed efferato particolare di ogni infimo caso di cronaca nera.
Così come basterebbe dare un’occhiata a che fine hanno fatto gli “epurati di Sofia” a un anno dalla vittoria del centrosinistra per rendersi conto delle condizioni attuali dell’azienda radiotelevisiva di Stato.
L’unico reintegrato a pieno servizio è Santoro – ma si badi bene, sotto minaccia di un provvedimento giudiziario. Biagi è tornato, ma confinato - dallo spazio in prime time sulla rete ammiraglia che aveva cinque anni fa - alla seconda serata del lunedì su Rai Tre.
Stessa sorte sul fronte dei comici per la Dandini, laddove invece Sabina Guzzanti o Luttazzi non sono mai stati reintegrati.
E poi ci sono i censurati di lunga data, come Grillo o Minà che dalla Rai erano già stati cacciati prima che ci arrivasse il biscione.


Ogni tanto mi commuovo guardando qualche videocassetta registrata negli anni ’80, vedendo prima e dopo il film pubblicità di film d’autore o di spettacoli teatrali in prima serata.
Oggi invece perfino un Fassino fa il suo outing a favore dei reality show. Per combattere lo strapotere della tv Berlusconi infatti non serve una legge sulle telecomunicazioni valida (cioè una legge diversa dalla Gentiloni), ma – continuano a ripeterci gli spin doctors del Centrosinistra - bisogna semplicemente vincere la gara degli ascolti con Mediaset portando la televisione di Stato al suo stesso livello ributtante. Di chi faccia il gioco una tale concezione lo possono capire tutti, tranne forse la nostra classe dirigente.
Ma consoliamoci, su Rai Uno c’è sempre Giannino Riotta che come dice Prodi tanto «piace a tutti». Forse – malgrado alcuni meriti innegabili come l’aver promosso il libro di Saviano – non proprio a tutti.

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