OAXACA, MESSICO. DEMOCRAZIA DAL BASSO E REPRESSIONE.
La morte di Bradley Will, giornalista americano di Indymedia ucciso da un poliziotto in borghese, ha acceso per un attimo i riflettori della stampa mondiale sulle vicende di Oaxaca in Messico. Vicende che si protraggono ormai da cinque mesi, ma che sono stato a lungo eclissate dalle controversie legate ai molto probabili brogli occorsi nelle elezioni presidenziali dello scorso 2 luglio – le quali hanno visto, per inciso, la riconferma del PAN, il partito di destra che governa il paese da 6 anni.
Oltre a ciò è la regione a più grande popolazione indigena del paese. Quasi due anni fà vi andò al potere come governatore, Ulises Ruiz Ortiz, del PRI - il partito che ha monoliticamente controllato la politica messicana per oltre settant’anni, prima dell’avvento del PAN nel 2000. Secondo la maggior parte degli oppositori e di molti osservatori internazionali, si trattò di un anticipazione, su scala locale, del “golpe elettorale” che sarebbe poi andato in scena, quest’estate, a livello nazionale. La notte delle elezioni tre sospettosissimi black-out sospesero lo scrutinio per ore. Qualche tempo dopo a Ampliación Santa Lucía (una quartiere periferico di Oaxaca) furono trovate migliaia di schede trafugate ed incenerite. Malgrado questo sospetto “peccato originario” sulla sua ascesa al ruolo di governatore – ruolo che in Messico, dato l’ordinamento fortemente federale del paese consente ampi margini di potere in svariati campi – Ruiz si è sempre negato ad ogni dialogo con le molte associazioni indigene e di base della società civile oaxaqueña, dedicandosi invece a una gestione privatistica delle cosa pubblica. Con appalti e commesse distribuiti a pioggia ad amici ed ad amici di amici, secondo la peggior tradizione clientelare e “caciquistica” del Messico. Per far tutto ciò, il neo-governatore non si è peraltro fatto molti scupoli a reprimere ogni genere di protesta, spesso sbattendo in carcere leader di movimenti sociali avversi alla sua politica. Per due anni il suo operato ha generato malcontento nella regione, senza tuttavia che questo si canalizzasse in uno scontro frontale.
In poco tempo la protesta dei soli insegnanti si è trasformata in un movimento di massa. Centinaia di organizzazioni di base, sindacati e associazioni del tessuto sociale oaxaqueño si sono infatti confederati in una sigla, l’Appo (Asociación Popular de los Pueblos de Oaxaca) il cui primo obbiettivo sono le dimissioni del governatore. Quest’ultimo, ovviamente, ha risposto nella maniera più scontata e crudele possibile: attraverso repressione poliziesca, arresti arbitrari, utilizzo di sicari e paramilitari per uccisioni mirate. Alla fine di ottobre, rientrata nei ranghi la situazione a Città del Messico, dopo le proteste per i brogli, è giunta dalla capitale anche la famigerata PFP,
Ma è davvero solo l’eventuale destituzione di Ruiz il motivo di un tale dispiego di forze poliziesche, favorito addirittura da Città del Messico? La domanda è retorica. Ovviamente no. Ciò che probabilmente spaventa l’establishment priista locale e quello panista nazionale è il modello che l’Appo può rappresentare agli occhi di tutto il paese.

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