martedì 23 gennaio 2007

BOLIVIA - L'AUTONOMIA PRETESTUOSA

Cresce nel paese andino la tensione tra i movimenti sociali vicini al Mas e le spinte separatiste della destra. Con il presidente Morales, costretto a una difficile mediazione.

Seppur debole e confuso, un eco delle violenze e degli scontri di Cochabamba è giunto anche in Italia. Scontri che hanno sconvolto il centro della città andina l’11 gennaio scorso, con il tragico saldo di 3 morti e circa 240 feriti – qualcuno ha parlato addirittura di una Oaxaca boliviana.

A fronteggiarsi, come molti sapranno, c’erano da una parte i cocaleros, i regantes e tutte le altre
categorie dei compositi movimenti sociali che hanno favorito e accompagnato l’elezione di Evo Morales nel 2005, dall’altra circa 3000 tra membri di Juventud Democratica – per i quali non vale certo il detto homen nomen - paramilitari e probabilmente militanti della destra di Santa Cruz, venuti appositamente a sostenere i colleghi cochabambini con mazze, bastoni, catene e pistole. In mezzo la polizia, che non ha saputo, o più probabilmente non ha voluto fermare l’aggressione dei militanti di destra contro gli attivisti dei movimenti sociali. Un aggressione che serviva a “ripulire” la centralissima Plaza 14 Septiembre dai circa 50000 indios che da giorni chiedevano le dimissioni del governatore Manfred Reyes Villa.

Manfred Reyes Villa è un personaggio dal passato non proprio edificante. Militare formatosi all’Escuela de las Americas (l’Accademia statunitense che ha addestrato alla tortura migliaia di soldati di tutto il Sudamerica), è stato a fianco prima dell’ex-dittatore Hugo Banzer (il rappresentate in Bolivia del Piano Condor) e quindi dell’ex-presidente Sanchez de Losada (quello che nel 2004 fece sparare sulla folla che, a El Alto, chiedeva la nazionalizzazione del gas, provocando più di 50 morti). Nei panni di sindaco di Cochabamba, nel 2000, ha indebitato la cittadinanza per svariati milioni di dollari ed ha poi avviato la svendita dell’acqua pubblica all’impresa Agua de Tunari, innescando quella protesta popolare che è passata alla storia come “guerra dell’acqua”.

Ciò che però ora gli contestano i movimenti sociali è la volontà di non rispettare l’esito del referendum per l’autonomia dell’anno scorso (in cui i cittadini di Cochabamba si sono espressi contrari al 54%). Il 14 dicembre infatti il governatore ha annunciato di voler indire un nuova consultazione. L’obbiettivo di Reyes Villa è semplice: accodare la regione alle altre 4 che si sono pronunciate a favore dell’autonomia (Beni, Pando, Tarija e Santa Cruz) e che costituiscono una sorta di fronda anti-Morales.

Da tempo in Bolivia l’opposizione al presidente indigeno si sta incanalando in una pretestuosa strategia autonomista (sfociata nei referendum di cui sopra), che mira a separare la regione orientale del paese (più ricca e più fertile ed in mano alle elites “bianche” di Santa Cruz) da quella montuosa dell’altipiano – roccaforte invece del Mas, il partito di Morales. Le riforme avviate dal governo (come la nazionalizzazione del gas o la riforma agraria – definita un po’ pomposamente “la fine del latifondo in Bolivia”) mettono infatti in grande pericolo i privilegi delle oligarchie dell’Est, sostenute (è inutile negarcelo) dagli Stati Uniti, ed in particolare dal nuovo ambasciatore a La Paz, Philip Goldberg – già uomo-chiave di Washington nel processo di disintegrazione dell’ex-Jugoslavia.

Quest’opzione autonomista è peraltro fornita alle destre dal delicato quadro istituzionale venutosi a creare nel paese andino nel 2005, a ridosso dell’elezione di Morales. La Bolivia è uno stato centralista: di norma i governatori, denominati prefetti, vengono nominati direttamente dal presidente della Repubblica. Ciò impedisce difficili coabitazioni e tensioni centripete.

Ma nel 2004, l’ex presidente Carlos Mesa, subentrato a Sanchez de Losada - cacciato a furor di popolo dopo l’eccidio di El Alto e rifugiatosi, come molti altri massacratori latinoamericani, a Miami – ha optato per una formula diversa, forse per democratizzare la sua elezione. Ha stabilito che in via transitoria fosse il popolo a scegliere i prefetti e il presidente dovesse solo nominarli ufficialmente. Così il 18 dicembre del 2005, insieme a Evo Morales, sono usciti vincitori anche 6 governatori di destra, ostili al nuovo esecutivo. La mappa politica disegnatasi allora, però, non è stata riconfermata dai referendum dell’anno scorso. I due dipartimenti andini governati dalla destra (La Paz e Cochabamba) hanno votato no all’autonomia, contro le aspettative dei loro governatori. E il motivo è semplice. Entrambi infatti sono stati scenario delle lotte che hanno favorito l’ascesa del Mas - da quella dei cocaleros del Chapare (regione del dipartimento di Cochabamba) alla guerra dell’acqua, fino alla battaglia per la nazionalizzazione del gas – e sono quindi roccaforte dei movimenti sociali che sostengono Morales.

Di qui la forte mobilitazione all’annuncio di Reyes Villa di un nuovo referendum, e le manifestazioni analoghe (per fortuna non sfociate in un bagno di sangue come a Cochabamba) contro il governatore Paredes a El Alto, nel dipartimento di La Paz. Mobilitazioni che hanno messo in grande difficoltà Evo Morales, stretto tra l’ovvia opposizione alla destra autonomista e reazionaria di Reyes Villa (e dei suoi amici parafascisti di Santa Cruz) e la sua posizione istituzionale di presidente super partes. Posizione che l’ha portato a non riconoscere l’autogoverno rivoluzionario proclamato dai settori più radicali dei movimenti di Cochabamba. Una decisione dettata forse anche dall’esigenza di non perdere consenso nelle quattro regioni pronunciatesi a favore dell’autonomia, in vista delle elezioni che dovranno riconfermarlo presidente l’anno prossimo, al termine dei lavori dell’Assemblea Costituente - lavori che, comunque, sono da tempo impantanati a causa del contenzioso tra governo e opposizione sui meccanismi di votazione dei singoli articoli.

Il presidente indigeno ha ribadito quindi la legittimità del governo di Reyes Villa (pur giudicandolo corrotto) e ha affermato che il suo allontanamento dal potere potrà avvenire solo per vie legali, attraverso un apposito referendum revocatorio. La proposta del referendum è stata subito avvallata da Reyes Villa – che dal suo esilio dorato a Santa Cruz si è dichiarato disposto a sottoporsi a una consultazione revocatoria; ma anche, - è notizia delle ultime ore - da parte dei movimenti sociali più vicini al Mas. Insomma una tregua in un conflitto incandescente, che rischia di espandersi ad altre regioni del paese. Un conflitto, in cui l’obbiettivo non dichiarato, ma implicito, è la poltrona del titolare del Palacio Quemado, a La Paz.

(Articolo scritto per la rivista on-line Fusi Orari, www.fusiorari.org)

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