giovedì 11 gennaio 2007

SADDAM E LA PENA DI MORTE

Pubblico qui un mio intervento relativo ad un dibattito, sul sito del giornale on-line Fusi Orari , riguardo all'impicaggione di Saddam Hussein e alla pena di morte in generale. Per comprendere meglio tutti i riferimenti, consiglio di leggere gli articoli che l'hanno preceduto (di Lorenzo Guzzetti e Davide Bessi) ai quali il mio pezzo risponde.
Buona lettura.

La condanna a morte del rais incancrenisce il conflitto in Iraq e rilancia il dibattito globale sulla pena capitale. Ma, dietro le quinte, fa comodo a qualcuno.

Anche Fusi Orari partecipa a quanto pare al rutilante dibattito sulla pena di morte che la barbara esecuzione, di Saddam Hussein ha provocato nel bel paese, con il solito contorno di nani e ballerine e talk-show spazzatura nei programmi domenicali. Visto che già altri si sono cimentati aggiungo anch’io un’ulteriore voce alla querelle che ha visto il provocatorio e (non me ne voglia) fuorviante articolo di Guzzetti e il sostanzialmente condivisibile (ma con qualche distinguo) articolo di Bessi.

La questione della legittimità della pena di morte non si pone caso per caso e soprattutto riguarda la giustizia all’interno dei tribunali, non la vendetta, la faida, la lotta partigiana condotta fuori dalle aule di giustizia. Da non-violento inorridisco all’idea che Saddam potesse venire ucciso da un parente di una delle sue vittime sciite o curde. Da non-violento, non avrei mai voluto vedere Mussolini appeso in Piazzale Loreto, ma piuttosto in carcere per tutta la vita a riflettere sul suo abominio. Ma da cittadino so anche che la sua morte non l’ha imposta un tribunale, né uno stato, nè un’istituzione. La sua morte l’ha prodotta la decisione del singolo partigiano che l’ha ucciso, o quella dei componenti la cellula del Cln che ha deciso la sua uccisione. E qui sta la differenza. L’esecuzione a caldo non sancisce nulla, placa il desiderio di vendetta di molti, ma non legittima alcunché. La condanna a morte, inflitta da un giudice in un’aula di tribunale (di pace o marziale, legittimo o fantoccio che sia), legittima la più tremenda barbarie che la civiltà moderna può produrre: l’idea che lo stato possa farsi arbitro della vita e della morte delle persone. Qui sta la differenza tra l’uccisione del singolo e quella dello stato. E non c’entra il colore degli stracci. Qui risiede il discrimine tra barbarie e civiltà del diritto.

Se questo è il quadro ideale ci sono anche considerazioni contingenti. Quando Mussolini venne ucciso in piazza e i gerarchi nazisti furono fucilati, i diritti umani erano una bella utopia lontana da venire. Ma negli ultimi decenni i diritti umani hanno fatto salti da gigante (con scarsa collaborazione e non si quanta gioia da parte degli stracci neri…) Un’altra Norimberga è antistorica anche per questo. Solo 10 anni fa i paesi con pena di morte vigente erano circa 90. Oggi sono poco più di 40. Lasciando da parte Nessuno Tocchi Caino e l’interesse intermittente per i diritti umani dei Radicali, da decenni altre associazioni (Amnesty in primis) lavorano capillarmente (e più efficacemente) per sradicare la pena di morte da tutto il pianeta. Esattamente come in molti altri campi (quello ambientale in primis) gli Stati Uniti - che si sono autonominati paladini della democrazia all over the world - non hanno in quest’ambito proprio nulla da insegnare e farebbero meglio a rileggersi le pagine del nostro Beccaria e dei maggiori pensatori dell’illuminismo europeo prima di candidarsi a rappresentare la democrazia sul pianeta.

Ma dietro alla condanna di Saddam Hussein c’è anche altro, e l’assordante silenzio sulle vere ragioni della sua rapidissima esecuzione sorprende e non poco. Saddam infatti è stato condannato a morte per un massacro “minore” e “precoce”. Esattamente per la strage di 148 sciti nel 1982 a Dujail. Ma la sua eliminazione fisica, ora, non permetterà la celebrazione dei processi per i ben più ingenti massacri compiuti contro i curdi negli anni successivi, tra il 1986 e il 1989. Proprio gli anni in cui l’ex-dittatore iracheno incassava l’appoggio sostanziale dell’amministrazione Reagan, che aveva provveduto qualche anno prima a eliminare il paese dalla lista degli allora “stati-canaglia”, per potergli offrire aiuti militari in funzione anti-iraniana – similmente al governo britannico e, in misura minore, ad altri stati occidentali.

Eliminando subito Saddam si assolve allorac anche la rete di complicità internazionali che lo rese così forte ed in grado di essere il dittatore sanguinario che tutti abbiamo conosciuto. E anche qui, chi oggi plaude al cappio, non si poneva certo il problema negli anni ’80 quando Saddam era un comodo alleato. Ma in fondo non è tanto importante chiedersi oggi di che colore erano gli stracci che nei bui anni ’80 chiedevano che non venisse fabbricato in provetta un altro mostro come Bin Laden o Pinochet. Ma piuttosto adoperarsi perchè questo non succeda più.

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