martedì 21 marzo 2006

COLOMBIA - LA GUERRA CIVILE RIMOSSA

Di tutti i grandi paesi latinoamericani la Colombia è quello di cui in Europa si sente parlare di meno. E questo malgrado sia la democrazia più antica del continente, nonché uno degli stati più ricchi di risorse della regione – il suo sottosuolo è infatti pieno di idrocarburi, fosfati e gas naturale. Neppure la tornata elettorale dello scorso 12 marzo sembra aver scalfito il disinteresse dei media occidentali nei confronti del paese sudamericano. Un silenzio, quello sulla Colombia, che nasconde soprattutto lo stillicidio di fatti di sangue prodotto dalla guerra civile strisciante che il paese vive da quarant’anni; una guerra civile che negli ultimi tempi sembra vivere una fase di recrudescenza. Essa oppone, da una parte, la guerriglia dell’Eln (una piccola formazione d’ispirazione cattolico-guevarista) e soprattutto delle Farc (il Fronte Armato Rivoluzionario Colombiano, di stretta osservanza marxista) e, dall’altra, il governo di Bogotà e i gruppi paramilitari di destra – le cui sigle più famose sono l’Auc (Autodefensas Unidas de Colombia) e il temibilissimo BCN (Bloque Cacique Nutibara), attivo soprattutto nella zona di Medellin. Entrambi (Farc e paramilitari) sono compromessi, seppur con finalità diverse, con il narcotraffico – ricordiamo per inciso che la Colombia è il primo produttore mondiale di cocaina e il terzo di eroina. Sottolinea infatti Hernando Gomez Buendia, consulente colombiano dell’Agenzia per lo sviluppo delle Nazioni Unite, in un’intervista alla Jornada, come: «A differenza dei paramilitari che usano la forza militare per consolidare i loro commercio di droga, i guerriglieri utilizzano il denaro della droga per consolidarsi militarmente».A questo breve elenco delle forze in campo vanno poi aggiunti ovviamente gli Stati Uniti, che in Colombia hanno il più grande ufficio estero della Dea (l’agenzia della Cia preposta alla battaglia al narcotraffico)- ufficio composto da ben 35 agenti ed un centinaio di investigatori i quali, a differenza dei loro colleghi negli altri paesi latinoamericani, hanno una ben più grande libertà d’azione e possono addirittura girare armati. Oltre a questo, l’intervento Usa nel paese sudamericano si realizza attraverso il Plan Colombia - un faraonico piano di finanziamento, ammontante a circa 700 milioni di dollari all’anno, (ufficialmente per la lotta al narcotraffico) - e la presenza sul territorio di circa 1200 persone tra soldati regolari e contractors, con il compito di addestrare l’esercito colombiano nella battaglia contro la guerriglia.

E’ in questo scenario poco edificante che hanno avuto luogo le già citate elezioni legislative. Elezioni che hanno assicurato al presidente Alvaro Uribe Velez, campione della destra colombiana, una maggioranza assoluta in Parlamento. Un risultato schiacciante che, nelle intenzioni dello stesso Uribe, dovrebbe servire come trampolino di lancio per la propria rielezione alla carica di presidente della repubblica (le elezioni presidenziali si terranno infatti a maggio). Una rielezione permessa unicamente da una legge ad personam fatta approvare a colpi di maggioranza lo scorso aprile dallo stesso Uribe, per poter ripresentare la propria candidatura. I sostenitori di Uribe hanno difeso la legge, controbattendo l’accusa di caudillismo degli oppositori con l’affermazione che “governare per altri quattro anni sarebbe fondamentale per completare il programma di lotta contro la guerriglia" avviato dal presidente.

In realtà il programma di lotta alla guerriglia avviato da Uribe pone non poche perplessità. Se infatti, esso, malgrado l’impiego massiccio di forze militari e il bombardamento di alcune zone rurali del paese, non può vantare risultati tangibili nella battaglia contro le Farc – solo poche settimane fa, per citare un episodio fra i tanti, i guerriglieri hanno fatto strage del consiglio comunale di Rivera, una cittadina del Sud del paese- tuttavia avrebbe, per i suoi fautori, il grande merito di aver contrastato lo strapotere dei paramilitari grazie ad un’apposita legge approvata lo scorso giugno, la Ley de Iusticia y Paz. Ma è proprio questa norma il provvedimento che pone più dubbi sull’effettivo impegno per la pacificazione del paese di Uribe&soci. La ley de Iusticia y Paz, infatti, nel presunto intento di promuovere la smobilitazione di tutti i gruppi paramilitari colombiani, offre l’amnistia a qualunque componente di qualsiasi formazione armata. E’ infatti sufficiente consegnare un’arma e dichiarare di aver fatto parte di un qualunque gruppo per riacquisire tutti i diritti civili e politici. Soprattutto ai paramilitari non viene chiesto nulla in cambio: né di ammettere i propri delitti, né di riconsegnare eventuali beni confiscati con la violenza, ne di smobilitare il proprio arsenale militare. Accertare eventuali colpe, per la legge, è infatti compito della magistratura. Ma non oltre sessanta giorni dal “reintegro” nella società civile del paramilitare. Dopo tale data viene infatti garantita l’impunità anche di fronte a prove incontestabili di partecipazione ai reati. Una legge con queste premesse, ovviamente, non può non incorrere nell’accusa di avere, dietro lo sbandierato scopo di smobilitare i paramilitari, quello contrario di legalizzarne l’operato. Proprio questo è infatti il rimprovero più grande che Amnesty International, in un comunicato apposito (al solito completamente ignorato dai media) rivolge alla Ley de Iusticia y Paz: «la strategia di smobilitazione in Colombia minaccia di consolidare i paramilitari e garantire agli autori di alcune delle peggiori atrocità contro i diritti umani di commettere più assassini». E concentrandosi sulla città di Medellin, il documento dell’Ong sostiene che lì il BNC: «recluta membri e agisce congiuntamente con le forze di sicurezza», con l’unica differenza che rispetto al passato ora i paramilitari «nascondono le loro attività sotto la denominazione di imprese private di sicurezza o agiscono come informatori per le forze di sicurezza».

In ogni caso chi ne fa le spese è la popolazione civile colombiana che negli ultimi mesi ha visto un massiccio incremento di tutte le forma di violenza politica: assassini, sparizioni, aggressioni di vario genere. Decine sono stati i sindacalisti e attivisti per i diritti umani rapiti, torturati o semplicemente eliminati. Stretta nella morsa tra guerriglia e paramilitari, la popolazione colombiana è vittima peraltro anche dei scellerati metodi di contrasto delle Farc da parte del governo di Bogotà; ben 222 000 persone - solo negli ultimi 12 mesi - sono state infatti costrette dall’esercito ad abbandonare le proprie terre, per favorire le manovre di accerchiamento militare dei guerriglieri. A ciò si aggiungono poi gli effetti nefasti della strategia di eradicazione delle coltivazioni di coca attraverso la fumigazione con defoglianti comici – strategia portata avanti principalmente grazie ai finanziamenti provenienti da Washington tramite il Plan Colombia. Le fumigazioni, affidate alla multinazionale statunitense Dyn Corp (una vera autorità nel campo del lavoro mercenario – suoi sono infatti la maggiorparte dei contractors americani attualmente presenti in Iraq) vengono infatti condotte con l’utilizzo su larga scala di sostanze altamente inquinanti come il glifosato e il Cosmo-flux 411Fquest’ultima per la sua forte tossicità negli Stati Uniti è addirittura bandita… Tuttavia senza grandi risultati. La quantità di cocaina esportata annualmente dalla Colombia – ad onta del forte impatto sociale e ambientale della strategia delle fumigazioni – non sembra avere registrato un calo sensibile.

Al contrario, negli ultimi tempi, è tutto l’operato degli Stati Uniti nella lotta al narcotraffico colombiano a destare grandi perplessità. Un recente documento (tanto eclatante quanto passato inosservato in Europa), ha gettato un’ombra molto sinistra sull’attività Usa in Colombia. Il 16 gennaio scorso la rivista Semana – una delle più importanti del paese sudamericano – ha infatti pubblicato parte di un memorandum segreto redatto nel dicembre 2004 da Thomas M. Kent, un funzionario del dipartimento di giustizia americano. In esso - definito dalla rivista colombiana «una vera bomba» - vengono descritti «con insolita franchezza» gravissimi episodi di corruzione di agenti della Dea in Colombia. Alcuni funzionari americani avrebbero infatti fornito informazioni riservate ai narcotrafficanti allo scopo di facilitarne gli affari, aiutato i paramilitari dell’Auc a riciclare denaro sporco e sarebbero addirittura coinvolti nell’omicidio di diversi testimoni da parte di quest’ultimi. Accuse molto pesanti che, rimaste segrete per più di un anno, rischiano ora di venire insabbiate e finire nel dimenticatoio.

Alla luce di questa politica ambigua non è difficile prevedere quali tremendi effetti di cronicizzazione della guerra colombiana potrebbe avere una rielezione di Uribe. E la posizione ed il comportamento del grande alleato a stelle e striscie non promette certo nulla di meglio.

1 commento:

doppiafila ha detto...

Un piacere leggere sulla Colombia...
Saluti, Doppiafila

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