martedì 8 maggio 2007

SHOOTER

Anche i kolossal hollywoodiani si aprono alle terie conspirazioniste sulla politica (estera) americana post-11 settembre. Accade con Shooter, il nuovo film di Antoine Fugqa nelle sale italiane dallo scorso 20 aprile.
Da un punto di vista estetico la cosa non ha grande rilevanza, dal momento che Shooter altro non è che uno dei tanti film d’azione dozzinali che Hollywood sforna copiosi ogni anno, ma dal punto di vista sociologico invece ha un qualche interesse.
La trama è semplice, finanche grossolana. Swagger (Mark Whalberg) è un eroe della guerra in Etiopia. Ha visto morire con i suoi occhi un commilitone amico, e con la sua proverbiale perizia balistica lo ha vendicato – tra profluvi di effetti speciali, ovviamente.
Tornato in patria si è ritirato a vita privata in una casa sperduta sui monti. Ma un giorno ecco bussare alla sua porta degli agenti dell’FBI. C’è da sventare un possibile attentato al presidente da parte di un cecchino: chi meglio di un tiratore scelto di riconosciuta bravura come Swagger può assolvere il compito? Dopo qualche tentennamento il veterano accetta, finendo per trovarsi incastrato in un complotto di proporzioni bibliche.
Non andiamo oltre. E sufficiente questa breve sinossi per immaginare che genere di film sia Shooter. Inseguimenti mozzafiato, continue esplosioni, scene d’azione parossistiche ed inverosimili, ralenti virtuosistici, il tutto ovviamente condito dalla necessaria dose di humor e di dialoghi scoppiettanti, in stile Die Hard. E l’inevitabile sottotrama romantica. Niente di originale quindi, seppur confezionato con grande cura.
Ma ciò che interessa di Shooter è il cambiamento di paradigma nei confronti della storia patria. Verso la metà del film il protagonista parlando con la moglie del commilitone ucciso anni prima afferma di aver accettato l’incarico per il suo senso del patriottismo tipicamente americano di cui non va troppo fiero ma del quale non riesce neppure a vergognarsi.
Sembra una frase buttata lì, ma non è così. E’ il polso della disillusione dell’opinione pubblica americana nei confronti dell’ottimismo ufficiale sulla bellicosa politica estera della presidenza Bush. Qualcosa si sta incrinando e anche un film decisamente nazional-popolare, di quelli che i teenager americani consumano nei multisala insieme agli hamburger ipercalorici di Mac Donald, può sperare in buon incasso prendendo in giro il presidente con l’elmetto. Un bel salto in avanti dai tempi di Indipendence Day.
Naturalmente non è tutto rose e fiori. Il film prosegue e la vendetta con annessa pioggia di fuoco che Swagger si prende nel finale dimostrano che anche il kolossal “progressista” Shooter, con la sua esaltazione della violenza e dell’individualismo è figlio della stessa America tronfia e vittoriana di George W. Bush. Ma, per parafrasare un noto cantautore romano, il paese non è più molto giovane e in pochi tra la vita e la morte – di fronte alle salme che ogni giorno tornano dall’Iraq – sceglierebbero l’America.

Articolo scritto per la rivista on-line Fusi Orari.

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