martedì 16 gennaio 2007

CASERTA - POCHE CERTEZZE E QUALCHE (BUON) PROPOSITO

Con contorno di polemiche e svolazzo di dichiarazioni di partecipanti ed assenti, si è concluso anche il vertice di Caserta. L’informazione televisiva ci ha informato poco sui contenuti del summit (ammesso che ce ne siano stati) e tanto del contesto: dal vanvitelliano sfarzo della reggia di Caserta, all’ultimo coup de théâtre del solito Pannella (che a rigore non avrebbe neppure dovuto essere lì, dal momento che non è più segretario del suo partito, ma con i radicali sempre meglio utilizzare i guanti di velluto…) il quale, con molta souplesse, ha lasciato il cellulare accesso, in diretta (guardacaso) con Radio Radicale…
Dietro la facciata, è più difficile tracciare un bilancio del consiglio dei ministri in trasferta. Il summit ha prodotto un documento finale chiamato pomposamente “manifesto”. Sostantivo altisonante, ma privo dell’aggettivo che spesso l’accompagna: “programmatico”. Perché un programma già c’è - anche se qualcuno, a volte, fa finta di dimenticarsene. Allora il manifesto altro non è che un’agenda, una mera elencazione delle priorità che questo governo si darà nell’immediato futuro. Insomma un promemoria di buone o cattive intenzioni.
Scorrendo l’elenco delle priorità, ciò che si fa notare per prima cosa, sono le assenze, più che le presenze. Via la riforma delle pensioni, derubricata e differita a data da concordarsi. Via la Tav, anch’essa rimandata a futuri e non radiosi giorni. E subito s’odono a destra squilli di tromba: «la coalizione è ostaggio della sinistra radicale». Davvero? Semmai la coalizione è ostaggio (ma neanche poi troppo), del suo voluminoso programma, proprio quello in base al quale ha ricevuto un mandato a governare. Programma nel quale non si parla né di riforma previdenziale, né (se non in maniera genericissima) di Tav.
Ma dietro a questo rimando sine die di previdenza e Tav, purtroppo non c’è il richiamo alla lettera del Programma. Quanto, invece, la volontà di evitare inutili dissidi tra radicali e moderati.
E difatti ecco che tra le assenze troviamo anche Pacs e legge elettorale - temi ben presenti, quest’ultimi, nel programma. Ma anche qui meglio evitare il solito conflitto laici vs teodem che già infinti fastidi addusse alla coalizione.
Ecco allora che il bell’elenco snocciola al primo posto Ricerca e Istruzione (non si sa con quali fondi e con l’oscura minaccia di una riforma della scuola in chiave aziendalistica) e poi a seguire apertura dei mercati e difesa del consumatore, semplificazione amministrativa e riduzione dei tempi della giustizia, potenziamento delle infrastrutture, difesa dell’ambiente e sviluppo delle energie rinnovabili, federalismo fiscale. Ma anche generiche aperture ad un maggiore equità sociale, ad un rilancio del welfare e all’apertura di un confronto con le parti sociali.
Si parla poi tanto anche di sviluppo del Mezzogiorno, per il quale dovrebbe partire uno stanziamento di 100 miliardi. Un gruzzolo non trascurabile (tre volte l’importo dell’ultima finanziaria), a patto che non finisca nelle mani sbagliate.
Dietro al potenziamento delle reti ferroviarie al Sud s’intravede tra l’altro la possibilità di un intervento della nuova costituenda società che fa capo a Montezemolo e Della Valle. Il che non è dato sapere se sia una buona o una cattiva notizia, malgrado il plauso incondizionato del ministro Bersani a cui non par vero di poter ricucire così lo strappo con Confindustria.

Fin qui i punti in agenda. Ma Caserta è stato anche altro. E’ stato l’ennesimo luogo di scontro tra riformisti e radicali. Quel riformismo che a destra e a (centro)sinistra si continua ad invocare, lacerandosi le vesti per la sua presunta assenza – con tanto di fughe dei Nicola Rossi di turno. Che cosa sia, questo riformismo non è facile dirlo. L’unica definizione che se ne può dare è quello a contrario. Riformismo come opposto di radicalismo, massimalismo.
Senonché in Italia l’ala che va sotto il nome di radicale, non fa altro che chiedere la “riforma” di alcune delle più spinose leggi approvate dal governo precedente: dalla legge Biagi, alla Bossi-Fini, alle leggi ad personam sulla giustizia. In che cosa si differenzino allora i “riformisti” diventa arduo comprenderlo. Il loro sembra un “riformismo” senza riforme, un gioco di varianti minime e ghirigori sul canovaccio neo-liberista ereditato dal governo berlusconiano. Di questo anodino orientamento ne è un buon esempio la tiepida e prudentissima riforma Gentiloni.
In quest’ottica sì, si può dire che il cavanserraglio dei riformisti light abbia subito una battuta d’arresto a Caserta. La scelta di non affidare la cabina di regia delle liberalizzazioni al buon Rutelli, alfiere del neo-centrismo tutt’interno alla coalizione, marca la volonta del premier di non favorire la componente moderata su quella radicale, facendosi egli stesso portavoce della necessaria sintesi tra le due anime della coalizione. Il buon Rutelli dovrà rassegnarsi (si fa per dire) a fare solamente il ministro della Cultura – compito peraltro che gli riesce, a quanto pare, con scarsissimo successo.
Questo è probabilmente il segnale più importante che viene da Caserta – il freno a una tentazione neo-centrista dell’Unione (Pacs a parte ovviamente). Il resto sono (quasi tutte) buone intenzioni che solo la prova dei fatti potrà confermare o smentire.

(Articolo scritto per la rivista on-line Fusi Orari, www.fusiorari.org)

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