BOLIVIA A 24 ORE DAL REFERENDUM: O CONTRO GLI AUTONOMISTI O CON IL FEUDALESIMO!

Qualcosa comunque si muove nella “patria grande”: il Gruppo di Rio ufficialmente condanna, l'ALBA esprime solidarietà a Morales, mentre l’OEA prende una salomonica posizione a favore dell’unità boliviana. Nessuno appoggia apertamente l’eversione cruceñista e gli Usa si chiudono in un silenzio tanto eloquente quanto ipocrita. Dal Venezuela Eva Golinger denuncia (vedi video) i 120 milioni di dollari con i quali il Congresso americano – attraverso le solite organizzazioni di facciata (NED e USAID) – finanzia dal 2005 l’opposizione al governo di Morales e supporta le spinte separatiste. 120 milioni di dollari prima diretti (sic) a combattere il narcotraffico – di cui secondo i falchi di Washington Evo Morales sarebbe stato il capostipite – e quindi a “sostenere la democrazia boliviana” (nuovamente sic!).
A la Paz poi da un anno e mezzo, presso l’ambasciata statunitense, resiede un certo Philip Goldberg, architetto nientemeno che degli accordi di Dayton: insomma uno che di balcanizzazione se ne intende eccome. E’ lui a dirigere la guerra di spie che è emersa negli ultimi tempi in Bolivia. Gli fa pendant in Paraguay – dove gli Stati Uniti hanno incassato la “sconfitta” dell’elezione del vescovo rosso Fernando Lugo – un certo James Cason, noto soprattutto per le sue molteplici trame anticastriste durante il lungo soggiorno a Cuba. Basta ricordare i nomi degli attori in campo per chiarire le strategie di Washington sul versante orientale delle Ande.
Nel frattempo, mentre Evo Morales e il suo entourage confermano che non dichiareranno lo stato di emergenza né manderanno l’esercito a Santa Cruz, per evitare gli scontri che potrebbero sprofondare la Bolivia in una guerra civile, il ministro degli Idrocarburi Vilegas dichiara ai microfoni di Telesur che una delle quattro multinazionali energetiche di fresca nazionalizzazione (l’annuncio è del 1 maggio) – Andina (Repsol), Chaco, Pan American Enery e Transeredes - è la principale finanziatrice della fronda cruceñista. Ecco svelato il segreto di Pulcinella. Vilegas tace il nome della multinazionale, ma non è un mistero per nessuno che le compagnie petrolifere che operano nel paese spingano tutte direttamente o indirettamente per un ripristino dello status quo ante Morales – ivi compresa la Petrobras, dell’”alleato” Brasile di Lula.
Nel frattempo a Santa Cruz si consuma un’inquietante quiete prima della tempesta: i movimenti che supportano Morales annunciano la rinuncia a scendere in massa a Santa Cruz per evitare l’enfrentamiento con gli autonomisti, ma alcuni barrios popolari della seconda città boliviana annunciano mobilitazioni per il giorno del referendum, minacciando di impedire l’installazione dei seggi, l’ingresso dell’UJC nei quartieri e promettendo la formazione di “cuarteles de resistencia” contro la consultazione. Oltre a una marcia contro il referendum prevista per il pomeriggio di domani.
La tragedia dei latifondi scandalosi del departamento di Santa Cruz, delle guardie armate che difendono proprietà indecenti se confrontate alla miseria dilagante: immense tenute dove gli indigeni guaranì lavorano per dieci o quindici bolivianos (un euro e mezzo) al giorno. Solo negli ultimi tempi le guardie bianche al servizio di questi moderni signorotti feudali hanno provocato il ferimento di 33 indigeni e la scomparsa di altri 11, semplicemente perché questi reclamavano la restituzione di 157000 ettari di terre usurpate loro e mai restituite malgrado la riforma agraria degli anni ’90.
Dietro la retorica della decentralizzazione dei poteri, dell’orgoglio camba, dietro la pseudo-modernità di Santa Cruz, dietro le rivendicazioni di autonomia fiscale e gestione delle risorse in loco, perfino dietro il razzismo bianco e meticcio degli autonomisti che alimenta violenza e risentimento contro i colla, dietro tutto questo si nasconda un’unica e semplice cosa. Un virulento desiderio di mantenimento dell’ancien regime, barbaro feudalesimo latifondista, espressione dei privilegi di una piccola parassitaria oligarchia agro-esportatrice, legata agli interessi delle multinazionali degli idrocarburi e tenacemente aggrappata a decenni di sperequazione ed ingiustizia sociale. Oggi questi privilegi appaiono per la prima volta a rischio a causa della più radicale e audace rivoluzione democratica e culturale che la Bolivia abbia mai conosciuto nella sua storia – perlomeno dopo la rivoluzione del ‘52. Un rischio che – per Marinkovic e soci - va scongiurato a tutti i costi. Anche con l’eversione se necessario.
Ps. Allego qui sotto un video tratto dalla (francamente non eccelsa) televisione di stato boliviana, scovato e riproposto da A Sud. Una buona dimostrazione di quel regime feudale che gli autonomisti vogliono difendere a denti stretti.
Per approfondire leggi anche Bolivia, verso la secessione.
Riguardo al carattere implicitamente razzista dello statuto autonomista su cui i cittadini del dipartimento di Santa Cruz si esprimeranno domani, leggi l'appello su Selvas.org.

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