USA CONTRO LA TORTURA. DEGLI ALTRI.
Una fedina penale lunghissima quella di Posada Carriles che conta, oltre ad un impressionante sequela di più o meno riusciti attentati sul suolo cubano, un tentativo, fortunamente sventato, di uccisione del presidente Castro in occasione di una conferenza a Panamà nel novembre 2000. Tentativo, per inciso, che se fosse andato in porto – essendo lo strumento prescelto una bomba di C4 da
Ora un giudice per l’immigrazione di El Paso, Texas – dove il settantasettenne terrorista ha riparato clandestinamente, forse stanco di una vita di stragi e delitti – ci dice che l’azzimato ex-agente della Cia, adesso di nazionalità venezuelana, non verrà estradato nel paese sudamericano per timore che lì possa essere torturato dalle autorità locali. E aggiunge il suo avvocato, che se nei 90 giorni di permanenza negli States concessigli dalla sentenza, nessuna richiesta di estradizione verrà accettata, il “buon uomo” potrà richiedere la cittadinanza americana e magari ricongiungersi ai parenti in Florida.
Stupisce questa sensibilità della giustizia a stelle e strisce per un eventuale pericolo tortura in un paese che, peraltro, non viene neppure segnalato, negli annuali rapporti di Amnesty International, tra quelli più a rischio. Stupisce soprattutto perché proviene da un paese accusato di tortura e violazioni dei diritti umani in ben 2 continenti (vedi Guantanamo ed Abu Grahib) e che non hai mai ratificato il Trattato Onu (del 2002) contro
E sorprende anche che nei civilissimi Stati Uniti, mai come ora impegnati in una “titanica” lotta contro il terrorismo internazionale, non venga mosso nemmeno un procedimento contro un individuo accusato di decine di atti terroristici.
Ma forse per un ex-agente della Cia si può fare questo e altro. E così di fronte a quest’ennesimo paradosso della giustizia Usa, verrebbe voglia di dire, parafrasando Orwell: “Tutti siamo uguali di fronte alla legge. Ma alcuni sono più uguali degli altri”.