mercoledì 7 maggio 2008

BOLIVIA, QUALCHE DOVEROSA PRECISAZIONE SUL REFERENDUM AUTONOMISTA DI SANTA CRUZ


L’ho letto pressochè in tutti articoli che nei giorni scorsi commentavano il referendum autonomista di Santa Cruz : la consultazione, che pur ha visto una gigantesca vittoria del Sì, non si tradurrà in nulla di concreto, perché il presidente Morales la considera illegale ed illegittima.

Questa vulgata l’ha riferita lunedì il Tg1, l’ha scritta Omero Ciai su Repubblica e l’ha ripresa perfino Peacereporter (per coprire tutto lo spettro politico). Ma l’hanno presa per buona pure altre decine di giornalisti di varia provenienza. E il motivo è abbastanza scontato. Hanno tutti consultato le stesse fonti.

Ora che a Morales e al suo governo il referendum non andasse a genio è fuori discussione. Ma il punto non è questo. A bocciare il referendum e a bollarlo come illegale ed incostituzionale non è stato il presidente indio, ma la Corte Nazionale Elettorale. Quest’ultima non può essere certo accusata di parzialità: il suo presidente Exeni non ha fatto cadere solo il referendum autonomista, ma anche quello sulla costituzione promosso dall’oficialismo, perché il giorno in cui quest’ultimo era stato convocato si erano verificati dei disordini all’entrata del Congresso, con il risultato di impedire ad alcuni parlamentari dell’opposizione di votare.

Tuttavia mentre Morales ha accettato di buon grado la decisione di Exeni e della Corte, gli autonomisti hanno deciso di andare avanti per la loro strada, dimostrando tutto il carattere eversivo della loro iniziativa politica.

Peraltro l’incostituzionalità della consultazione non è opinabile. Come ha spiegato ottimamente l’amico Anticap la legge boliviana impedisce l’istituzione di referendum a livello dipartimentale se questi riguardano temi d’interesse nazionale. E’evidente che la concessione dell’autonomia ad un’intera regione è un tema d’interesse nazionale che non può essere stabilito unilateralmente dalla regione in questione. Ed è ugualmente evidente che qui non contano le opinioni del signor Morales, ma le leggi dello stato boliviano. Ma questo per tanti sciatti giornalisti nostrani non conta alcunché.

Poi già che ci siamo sarebbe il caso di analizzare un po’ meglio i risultati della consultazione. Il sì ha vinto effettivamente con l’81%, ma anche con un tasso di astensionismo di quasi il 40%. Ipotizzando anche che parte degli astenuti avrebbero votato sì, è difficile immaginare una percentuale di favorevoli allo statuto autonomista superiore al 60%. E questo ridimensiona e non poco il trionfalismo di Marinkovic e Costas.

Infine vanno ricordati altri due o tre fatti che inficiano e non poco la credibilità del referendum:

a) Per la prima volta nella storia della democrazia boliviana (cioè dal 1982), parte delle operazioni di voto è stata privatizzata. La Corte Dipartimentale Elettorale di Santa Cruz, diretta da quel Mario Orlando Parada la cui moglie Maria Julia Gutierrez è nientemeno che la presidente della “sezione femminile” del Comitè Civico di Santa Cruz, primo organizzatore del referendum, ha infatti commissionato all’impresa di un certo Miguel Serrano (di recente sospeso nelle sue funzioni dalla Corte Elettorale Nazionale per alcuni problemi legati al suo lavoro) il compito di curare il sistema informatico di conteggio. E’ la prima volta che questo accade in Bolivia e prefigura – secondo molti –scenari “da Florida”.

b) La giornata elettorale è stata caratterizzata da continue segnalazioni di brogli soprattutto al Plan 3000 – un quartiere povero di Santa Cruz – dove alcuni contestatori legati al Mas, hanno ritrovato svariate urne piene di schede elettorali pre-votate, ovviamente a favore dell’autonomia (vedi video). Inoltre in molti hanno segnalato irregolarità nella gestione dei seggi, spesso aperti nonostante l’assenza del numero legale di scrutatori.

c) Infine più del 10% dei voti espressi domenica risulta composto da schede bianche o invalidate da quei comitati elettorali che – come ha scritto ieri Maurizio Chierici su “L’Unità” – non hanno nulla da invidiare alla «Bulgaria dei soviet e al Cile di Pinochet».

Secondo la redazione dell’agenzia di stampa Bolpress, che adduce una lunga serie di prove in un interessante reportage, è possibile parlare apertamente di frode elettorale. Della stessa opinione è il Ministro alla Presidenza del governo boliviano Juan Ramon Quintana, che ugualmente paventa irregolarità nello svolgimento del referendum.

Quali che siano i dati reali - al di là della “contabilità creativa” della Corte Elettorale dipartimentale di Santa Cruz - non conviene tuttavia sottovalutare quella metà o poco più di voti espressi in favore dell’autonomia. Pur continuando a denunciare il carattere eversivo e strumentale dell’iniziativa del Comitè, è bene che il Mas s’interroghi su cosa non funziona nelle sue basi d’appoggio a Santa Cruz. In particolare su come sia possibile che migliaia di persone che vivono nei barrios più poveri della città orientale possano cadere vittima della retorica autonomista di Marinkovic e delle false promesse populiste di Costas.

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martedì 6 maggio 2008

VERONA: SE PER VELTRONI L'OMICIDIO DI UN RAGAZZO E'GRAVE QUANTO UNA BANDIERA BRUCIACCHIATA

Le dichiarazioni di Fini sull’omicidio squadrista di Verona hanno sollevato un polverone di polemiche. Per il neopresidente della Camera un omicidio (con l’aggravante “politica” di essere stato commesso da neonazisti) è meno grave di una bandiera bruciacchiata e di alcune (criticabilissime) contestazioni allo stato israeliano in occasione della Fiera del Libro. Non mi stupisce. Malgrado Fiuggi, malgrado Gerusalemme (buon) sangue non mente.

Piuttosto sono preoccupato. Il pensiero corre a 7 anni fa. Alle dichiarazioni di Fini sul G8 e alla sua inquietante presenza in una caserma genovese…

Quello che invece mi ha stupito ed indignato non meno delle dichiarazioni di Fini, sono state le parole di replica di Veltroni. Probabilmente perché provengono da “sinistra” e da chi non crederesti capace – al di là di ogni possibile distinguo – di certe cadute di stile.
Il leader del Pd ha infatti dichiarato: «Io sono per non stabilire mai priorità su questi temi. nel primo caso c’è la vita di un ragazzo che è stata spezzata ed è un episodio molto grave e sottovalutarlo sarebbe un errore molto serio; il secondo episodio è altrettanto grave e stabilire delle priorità è assolutamente sbagliato».

Veltroni ci è o ci fa? Personalmente non condivido nulla delle proteste contro Israele alla Fiera del Libro di Torino, ma è forse possibile mettere sullo stesso piano o ritenere ugualmente gravi l’omicidio di un ragazzo e delle pur discutibilissime contestazioni???!
A che gioco gioca Uòlter? Anche questo fa parte del “riformismo” e del piano per conquistare i voti del centro? Qual è il geniale spin doctor che ha suggerito all’ex sindaco di Roma queste incommentabili dichiarazioni?

Non si rende conto Veltroni che così facendo presta il fianco alla criminalizzazione del dissenso – non importa quale, non è questo il punto- equiparando una contestazione sbagliata a un fatto di sangue compiuto da neonazisti? Non si rende conto Veltroni che questa equazione inaccettabile che oggi colpisce i discutibili contestatori torinesi, domani può riguardare i sindacalisti, gli immigrati, i Rom, chiunque sia per qualche ragione scomodo?

Ripeto : a quale gioca sta giocando Veltroni? E perché nessuno si ribella da sinistra e anche all’interno del Pd (che di certo non è tutto omologabile al suo irresponsabile segretario) a queste dichiarazioni vergognose?

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sabato 3 maggio 2008

SANTA CRUZ, LA PAROLA AI MURI

Una breve rassegna di graffiti politici lungo i muri di Santa Cruz... ulteriore riprova del carattere "costruttivo" ed "edificante" dell'opposizione filo-separtista della città orientale.



(Trad. "Resistenza contro i narcocomunisti" - per i fautori dell'autonomia i "narcomunisti" sono il Mas di Evo Morales e i suoi esponenti n.d.r.)


(Trad. graffitto di destra "Evo [Morales] figlio di puttana". A sinistra "Tuto=Goni", ossia Jorge "Tuto" Quiroga ex-presidente boliviano uguale a Gonzalo Sanchez de Losada, altro ex-presidente (genocida) della Bolivia. Raro graffitto di sinistra (forse) sui muri di Santa Cruz.)


(Trad. "Nazionalizzazione= venezuelizzazione". Esempio di comunissima accusa di chavismo al presidente boliviano. Fai il paio con l'altrettanto difusissima scritta razzista - di cui purtroppo non siamo riusciti a reperire nessuna foto - "Evo chola de Chàvez" letteralmente "Evo donna indigena di Chàvez")


(Trad. "Evo morirà in Santa Cruz" - altro esempio di contestazione costruttiva e rispettosa, n.d.r)


(Trad. "Fanculo a Evo". Tra gli insulti volgari molto gettonato assieme a "Evo chupa pichi" che per decenza non traduciamo)


(Trad. "Evo colla [termine traducibile come "indigeno degli altipiani"] e merda". E' probabile che dal graffito originale sia scomparsa una "d" e l'"autore" intendesse "Evo colla di merda". Bonjour finesse et...racisme, n.d.r.).


Per chiudere una pietra miliare (e/o tombale). Trad "Evo, Santa Cruz sarà la sua tomba".


Un ringraziamento agli (ignari) utenti di Flickr Mst-Bolivia, Rodney J, Amy and Brent e Fides*yeruti, autori delle foto assieme al sottoscritto.


P.s. C'è ancora qualcuno in grado di credere alla "democraticità" degli eversori di Santa Cruz, quelli finanziati dagli Stati Uniti per favorire "la democrazia in Bolivia"?

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BOLIVIA A 24 ORE DAL REFERENDUM: O CONTRO GLI AUTONOMISTI O CON IL FEUDALESIMO!

Mancano solo 24 ore all’incostituzionale referendum pro-autonomia indetto dalla cricca oligarchica di Santa Cruz, quel Comitè Civico espressione delle 40 famiglie che si rimpallano da circa un secolo e mezzo il potere nella città orientale, avita roccaforte della destra razzista e golpista del paese.
Il mondo intanto fa finta di non accorgersi: tergiversa, ignora e glissa su quella che si avvia ad essa la polveriera del Sudamerica, la balcanizzazione del cuore del continente, quel piccolo paese incastonato tra le cordigliere andine divenuto negli ultimi anni sempre più strategico, crinale tra ancien regime neo-liberista e neo-coloniale e nuovo mondo possibile (almeno in America Latina). Il mondo glissa e gira lo sguardo altrove. Fa finta di non vedere il carattere eversivo dell’iniziativa elettorale di Marinkovic e soci e soprattutto la natura antidemocratica di chi ne garantirà la realizzazione: le squadracce dell’UJC, organizzazione giovanile del Comitè Civico, grupo de choque a servizio dei poteri forti dell’Oriente boliviano, tanto estremista a livello politico, quanto paramilitare nella prassi concreta.

Qualcosa comunque si muove nella “patria grande”: il Gruppo di Rio ufficialmente condanna, l'ALBA esprime solidarietà a Morales, mentre l’OEA prende una salomonica posizione a favore dell’unità boliviana. Nessuno appoggia apertamente l’eversione cruceñista e gli Usa si chiudono in un silenzio tanto eloquente quanto ipocrita. Dal Venezuela Eva Golinger denuncia (vedi video) i 120 milioni di dollari con i quali il Congresso americano – attraverso le solite organizzazioni di facciata (NED e USAID) – finanzia dal 2005 l’opposizione al governo di Morales e supporta le spinte separatiste. 120 milioni di dollari prima diretti (sic) a combattere il narcotraffico – di cui secondo i falchi di Washington Evo Morales sarebbe stato il capostipite – e quindi a “sostenere la democrazia boliviana” (nuovamente sic!).


Haz click en cualquier video para verlo

120 milioni di dollari non sono noccioline: sono venticinque volte tanto i finanziamenti all’opposizione venezuelana e qualcosa come un 1/200 del prodotto interno lordo boliviano. Non noccioline, appunto. D’altronde che gli Stati Uniti – almeno in parte – stiano spostando verso Sud il baricentro della loro ingerenza negli affari del subcontinente non è un mistero per nessuno. L’anno prossimo i marines sloggeranno dalla base di Manta – a cui Correa ha deciso di non rinnovare la licenza – e s’insedieranno con buona probabilità nel Perù dell’amico e alleato Alan Garcia, ultimo alfiere del Washington Consensus assieme al paraco Uribe. La Bolivia finirà stretta in una tenaglia tra il paese andino e la frontiera paraguayana dove ha sede un’altra base statunitense, per ora non in pericolo malgrado l’elezione di Lugo – a cui tra l’altro mancano i numeri per governare.
A la Paz poi da un anno e mezzo, presso l’ambasciata statunitense, resiede un certo Philip Goldberg, architetto nientemeno che degli accordi di Dayton: insomma uno che di balcanizzazione se ne intende eccome. E’ lui a dirigere la guerra di spie che è emersa negli ultimi tempi in Bolivia. Gli fa pendant in Paraguay – dove gli Stati Uniti hanno incassato la “sconfitta” dell’elezione del vescovo rosso Fernando Lugo – un certo James Cason, noto soprattutto per le sue molteplici trame anticastriste durante il lungo soggiorno a Cuba. Basta ricordare i nomi degli attori in campo per chiarire le strategie di Washington sul versante orientale delle Ande.


Nel frattempo, mentre Evo Morales e il suo entourage confermano che non dichiareranno lo stato di emergenza né manderanno l’esercito a Santa Cruz, per evitare gli scontri che potrebbero sprofondare la Bolivia in una guerra civile, il ministro degli Idrocarburi Vilegas dichiara ai microfoni di Telesur che una delle quattro multinazionali energetiche di fresca nazionalizzazione (l’annuncio è del 1 maggio) – Andina (Repsol), Chaco, Pan American Enery e Transeredes - è la principale finanziatrice della fronda cruceñista. Ecco svelato il segreto di Pulcinella. Vilegas tace il nome della multinazionale, ma non è un mistero per nessuno che le compagnie petrolifere che operano nel paese spingano tutte direttamente o indirettamente per un ripristino dello status quo ante Morales – ivi compresa la Petrobras, dell’”alleato” Brasile di Lula.
Nel frattempo a Santa Cruz si consuma un’inquietante quiete prima della tempesta: i movimenti che supportano Morales annunciano la rinuncia a scendere in massa a Santa Cruz per evitare l’enfrentamiento con gli autonomisti, ma alcuni barrios popolari della seconda città boliviana annunciano mobilitazioni per il giorno del referendum, minacciando di impedire l’installazione dei seggi, l’ingresso dell’UJC nei quartieri e promettendo la formazione di “cuarteles de resistencia” contro la consultazione. Oltre a una marcia contro il referendum prevista per il pomeriggio di domani.

Intanto lontano chilometri dal palcoscenico di Santa Cruz, dalle sue calles squadrate, dalla sua architettura coloniale, dai suoi lunghi porticati, dalla sua linda Plaza 24 Septiembre - da cui fa capolino un immenso bandiera verde-bianco-verde su cui all’antica scritta “Si la quieres defendela” (la patria cruceñista ovviamente) è stato aggiunto “Cruceño Vota por el si"” – si consuma la tragedia di ogni giorno. La tragedia dei latifondi scandalosi del departamento di Santa Cruz, delle guardie armate che difendono proprietà indecenti se confrontate alla miseria dilagante: immense tenute dove gli indigeni guaranì lavorano per dieci o quindici bolivianos (un euro e mezzo) al giorno. Solo negli ultimi tempi le guardie bianche al servizio di questi moderni signorotti feudali hanno provocato il ferimento di 33 indigeni e la scomparsa di altri 11, semplicemente perché questi reclamavano la restituzione di 157000 ettari di terre usurpate loro e mai restituite malgrado la riforma agraria degli anni ’90.
Dietro la retorica della decentralizzazione dei poteri, dell’orgoglio camba, dietro la pseudo-modernità di Santa Cruz, dietro le rivendicazioni di autonomia fiscale e gestione delle risorse in loco, perfino dietro il razzismo bianco e meticcio degli autonomisti che alimenta violenza e risentimento contro i colla, dietro tutto questo si nasconda un’unica e semplice cosa. Un virulento desiderio di mantenimento dell’ancien regime, barbaro feudalesimo latifondista, espressione dei privilegi di una piccola parassitaria oligarchia agro-esportatrice, legata agli interessi delle multinazionali degli idrocarburi e tenacemente aggrappata a decenni di sperequazione ed ingiustizia sociale. Oggi questi privilegi appaiono per la prima volta a rischio a causa della più radicale e audace rivoluzione democratica e culturale che la Bolivia abbia mai conosciuto nella sua storia – perlomeno dopo la rivoluzione del ‘52. Un rischio che – per Marinkovic e soci - va scongiurato a tutti i costi. Anche con l’eversione se necessario.


Ps. Allego qui sotto un video tratto dalla (francamente non eccelsa) televisione di stato boliviana, scovato e riproposto da A Sud. Una buona dimostrazione di quel regime feudale che gli autonomisti vogliono difendere a denti stretti.




Per approfondire leggi anche Bolivia, verso la secessione.

Riguardo al carattere implicitamente razzista dello statuto autonomista su cui i cittadini del dipartimento di Santa Cruz si esprimeranno domani, leggi l'appello su Selvas.org.

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giovedì 1 maggio 2008

MESSICO, IL TERRORISMO MEDIATICO CONTRO LOPEZ OBRADOR


Da qualche tempo il dibattito politico in Messico è dominato dalla questione della privatizzazione di Pemex. Pemex è l’azienda petrolifera statale, che il governo ultraliberista di Felipe Calderón, il presidente spurio andato al potere nel 2006 attraverso brogli sistematici, vorrebbe almeno in parte privatizzare.
Contro questo progetto si è sviluppato in tutto il paese centroamericano un grande movimento di protesta, che è arrivato fino al Congresso messicano, l’organo che dovrà prendere la decisione in materia. A capo di questo movimento si è messo nientemeno che Lopez Obrador, il candidato del Prd, il principale partito di centro-sinista del paese, palesemente frodato nelle ultime elezioni.

Contro l’intervento di Amlo in questa vicenda e contro l’occupazione simbolica del Parlamento messicano messa in scena dal suo movimento, Televisa una delle due emittenti televisive che grazie alla scandalosa "ley Televisa" monopolizzano di fatto l’informazione radiotelevisa del paese, ha trasmesso a ripetizione il seguente spot, vera chicca di disinformazione e terrorismo mediatico. Il video – non fosse altro che per alcuni palesi errori storici (Mussolini che prende il potere nel 1939?!) è stato censurato dall’Ife (l’Insituto Federal Electoral) che ne ha proibito la tramissione. Tuttavia merita comunque di essere visto, anche solo per farsi un’idea delle aberrazioni che la concentrazione dei mezzi radiotelevisivi nelle mani di alcuni ristretti gruppi di potere produce in diversi paesi dell’America Latina, dal Messico fin giù alla Bolivia.

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