venerdì 15 settembre 2006

MESSICO: LA GRANDE FRODE

E’ finita. Dopo più di due mesi d’incertezza il Messico ha un nuovo presidente. Ma non è assolutamente detto che si tratti del candidato più votato dal popolo messicano. Anzi…


Ma andiamo con ordine. Il 2 luglio scorso si svolgono nel paese centroamericano le elezioni presidenziali. A contendersi la massima carica istituzionale ci sono i candidati dei tre partiti che da circa vent’anni tirano le fila della politica messicana: il PRI (Partido Revoluciònario Istitucional) il PAN (Partido de Acciòn Nacional) e il PRD (Partido de la Revoluciòn Democratica). Il PRI, sorta di democrazia cristiana messicana, ha governato ininterrottamente il paese per tutto il Novecento. Nato dalla rivoluzione di Villa&Zapata, di ispirazione socialista, si è lentamente trasformato nel monolitico strumento di dominio delle oligarchie conservatrici del paese (pur lasciando traccia del proprio passato progressista nell’ossimoro del nome attuale – in precedenza si chiamava Partido Revoluciònario Naciònal). Il PAN, partito nazionalista di destra ha quindi interrotto per la prima volta un dominio che durava dal 1910, nel 2000, vincendo le elezioni presidenziali. Ma la svolta è stata più apparente che reale dal momento che il PAN si è appoggiato alle medesime forze sociali del predecessore (i potentati economici del paese e l’alta borghesia legata a doppio filo con il vicino colosso statunitense) e ne ha proseguito la politica conservatrice e neo-liberista – il presidente uscente Vicente Fox è nientemeno che l’ex boss della filiale messicana della Coca-Cola, multinazionale che in Messico controlla circa l’80% delle bevande imbottigliate – il conflitto d’interessi non è, a quanto pare, solo una specialità nostrana…

Ma alle elezioni di luglio si profila una svolta. Il PRD, il terzo contendente – partito di centro-sinistra nato nel 1989 da una costola del PRI per dissenso rispetto alla politica autoritaria e neo-liberista di quest’ultimo – ha serie possibilità di imporsi. Può schierare, a fronte degli incolori Roberto Madrazo e Felipe Calderon di PRI e PAN, un pezzo da novanta, Andres Manuel Lopez Obrador, il sindaco uscente di Città del Messico. Amlo (come lo chiamano i suoi sostenitori) ha governato per cinque anni con straordinaria efficienza el monstruo, la capitale più popolosa e caotica della terra, riuscendo in quella che si può definire un’impresa: ripulire (seppur parzialmente) la corrottissima polizia della città. Sin dall’inizio i sondaggi lo danno in testa. Una sua vittoria sarebbe una vittoria epocale: spazzerebbe via l’asse conservatore da oltre mezzo secolo al potere in Messico e spingerebbe nuovamente il paese a sinistra, settant’anni dopo la presidenza illuminata di quel Lazaro Cardenas che rese la patria delle tortillas la nazione più avanzata dell’intera America Latina. Anche il Messico potrebbe accodarsi a quella ventata di cambiamento che viene dall’America Meridionale e che ha portato all’ascesa di governi progressisti in Brasile, Argentina, Venezuela, Bolivia, Cile ed Uruguay. Il rischio per PRI e PAN è grande. Nei due anni precedenti alla tornata elettorale parte allora una campagna diffamatoria in grande stile (orchestrata nell’ombra dall’ex-presidente del PRI Salinas de Gortari). Una campagna che facendo perno sulle dichiarazioni di un imprenditore argentino, Carlos Ahumada, mira a gettare addosso a Lopez Obrador infamanti accuse di corruzione. Il complotto viene però abbastanza in fretta allo luce, per diretta ammissione dello stesso Ahumada. Si arriva così alla fatidica giornata del 2 luglio. Tutti si aspettano una vittoria di Obrador…e invece, lo scrutinio assegna la vittoria, per l’esiguo scarto dello 0, 56 %, a Calderon, il candidato del PAN. Ma…sorpresa! Tra il numero dei votanti e i voti assegnati c’è uno scarto di 900 000 voti! Dove sono finiti? Nei giorni successivi si moltiplicano da tutti i distretti elettorali del paese le denunce più inquietanti: furti di urne, schede sottratte e fatte sparire, voti annullati senza ragione, intimidazioni, conti che non tornano, cifre falsificate… Lopez Obrador si appella immediatamente all’IFE (Instituto Federal Electoral), perché disponga un riconteggio totale dei voti. Tutto il Messico trema ripensando all’orribile precedente del 1988. Anche allora un candidato di sinistra (Chautemòc Cardenas, figlio del già citato Lazaro Cardenas) era dato per strafavorito. Invece alla fine di una lunga giornata d’estate risultò vincitore Salinas de Gortari, il candidato del PRI. Solo anni dopo venne fuori l’orrenda verità dei brogli che avevano condizionato quel voto.

Nei giorni successivi al 2 luglio allora – ricordando questo tremendo precedente – i sostenitori di Por el Bien de Todos (la coalizione che spalleggia Obrador) si riversano in massa per le vie di Città del Messico per protestare contro el fraude. Il 30 luglio, nello Zocalo, la piazza principale, si contano più di due milioni di persone. Nella capitale si moltiplicano los planteamentos por la democracia: occupazioni di piazze, strade, viali, dove si improvvisano dibattiti, si allestiscono spettacoli e concerti, si sperimentano nuove forme di lotta…E’ la più grande mobilitazione pacifica della storia messicana. Una rivolta che viene dal profondo della società civile, stufa di decenni di oppressione e corruzione del paese... Purtroppo la doccia fredda è in agguato. L’IFE, probabilmente manovrato dall’oligarchia panista, concede solo un riconteggio del 9% delle schede e lascia cadere nel vuoto le denunce di Lopez Obrador. Il riconteggio parziale non intacca la vittoria di Calderon e conferma i risultati. La traballante democrazia messicana incassa una nuova sconfitta. Ma cosa avrebbe potuto fare la sinistra al potere da giustificare un tale ricorso all’illegalità?

Forse avrebbe rinegoziato quel trattato di libero commercio-capestro con Usa e Canada – fortemente voluto dal PRI – che ha causato la chiusura di migliaia di aziende messicane (battute dalla concorrenza dei prodotti a Stelle Strisce) e spinto così all’emigrazione milioni di messicani… Forse avrebbe chiesto agli stessi Stati Uniti una politica dell’immigrazione più rispettosa dei migranti messicani… Forse avrebbe anche combattuto i cartelli del narcotraffico, da sempre collusi con il potere di Città del Messico… Molto probabilmente avrebbe ridimensionato lo sfruttamento delle principali risorse del paese da parte delle multinazionali straniere e il controllo delle più importanti catene di mezzi d’informazione da parte delle oligarchie legate a PRI e PAN. In qualche modo avrebbe allentato la dipendenza secolare dall’ingombrante vicino yankee - “Povero Messico, tanto lontano da Dio e tanto vicino agli Usa” diceva Porfirio Diaz… Magari avrebbe anche spinto verso il riconoscimento dei diritti delle popolazioni indigene e migliorato le condizione di vita dei milioni di cittadini messicani che vivono sotto la soglia di povertà. In ogni caso sarebbe stato un passo importante verso una democrazia reale.

(Articolo scritto per Vulcano la rivista degli studenti dell'Università Statale di Milano).

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