Sul
blog di Beppe Grillo, stamane, ho avuto modo di vedere finalmente la
classifica annuale di Freedom House sulla libertà di stampa. Per il comico genovese è l’ennesima occasione per criticare giustamente lo stato della libertà d’informazione e satira del belpaese: l’Italia risulta infatti solo 79esima..
Ora senza volontà di assolvere l’Italia per le sue non lievi colpe, siamo propri sicuri che la classifica sia attendibile?
L’Italia esce da un periodo di gravi attacchi alla libertà di stampa, cominciati con l’editto bulgaro di Berlusconi e culminati con i casi di censura sulla Rai della Guzzanti e di Paolo Rossi - quest’ultimo si vide censurare addirittura un testo di Tucidide solo perchè ai dirigenti Rai (che ovviamente non sapevano che si trattasse di un brano del celebre storiografo greco) parve un attacco all’ex-presidente del Consiglio…
Tuttavia questo giustifica il nostro posizionamento dopo paesi come la Giamaica, il Benin o le isole Fiji (dove tra l’altro di recente c’è stato un colpo di stato?). Nutro seri dubbi al proposito.
Andando a scavare si scopre infatti che quest’anno l’Italia si piazza peggio che negli anni scorsi: nel 2005 eravamo 77esimi, nel 2004 74esimi, e nel 2003 e 2002 - secondo un calcolo approssimativo (dal momento che, all’epoca, la chart era organizzata per raggruppamenti e non per posizioni vere e proprie) intorno alla 60esima posizione. Inutile ricordare che erano gli anni di Berlusconi e del siluramento dei vari Biagi-Luttazzi-Santoro, mentre ora in parlamento risiede una maggioranza di centro-sinistra e diversi dei “rimossi” del quinquennio 2001-2006 sono stati reintegrati – il che ovviamente non rende l’Italia un paese modello, ma perlomeno un po’ meno squallido che negli ultimi tempi.
Ma per la Freedom House no. L’Italia sta peggiorando. Perché?
Forse una risposta la si può trovare andando ad analizzare più da vicino cos’è la Freedom House: nient’altro che un’organizzazione organica alla Cia e alla cricca neo-con che governa gli Stati Uniti da 7 anni a questa parte. Qualche prova? Il presidente della Freedom House è stato tra il 2003 e il 2006 nientemeno che l’ex direttore della Cia James Woolsey. All’interno del board of trustees della stessa figurano poi l’Ex-ambasciatore Usa Thomas Foley (direttore della commissione Trilateral) , l’ex ambasciatrice di Reagan all’Onu Jeane Kilkpatrick e la moglie di Negroponte, Diana Villiers; oltre a Malcom Forbes e David Nastro - a capo rispettivamente di Forbes magazine e della Morgan Stanley ( due istituzioni notoriamente impegnate nella difesa dei diritti umani…)
Sorge allora il dubbio che la Freedom House, più che alla diffusione della democrazia sul globo, sia interessata alla diffusione di capitale e interessi statunitensi. Soprattutto in considerazione del fatto che la classifica annuale di Freedom House viene poi solitamente utilizzata dal governo e dal congresso Usa per stabilire a quali paesi assegnare aiuti allo sviluppo e, più in generale, per impostare tutta la politica estera statunitense.
In quest’ottica allora, può aver pesato sulla cattiva considerazione dell’Italia la pur lieve discontinuità (Vicenza docet) esercitata sullo scacchiere internazionale dal governo Prodi, il quale ha fatto una vaga scelta di campo europeista, ha dato via ad un progetto multilaterale d’intervento in Libano e soprattutto - cosa intollerabile per gli Stati Uniti - si è astenuto nella diatriba per l’assegnazione del seggio Onu dell’America Latina.
Proprio l’America Latina infatti è una buona cartina di tornasole della scarsa imparzialità della classifica di Freedom House. Cuba per esempio è al quart’ultimo posto seguita solo da Libia, Turkmenistan e Nord Corea. Ora non ci sono dubbi che Cuba sia una dittatura e che sul suo territorio avvengano limitazioni della libertà di stampa abbastanza gravi. Detto questo però è oggettivamente improbabile poter considerare stati come la Birmania, la Cina o il Sudan più democratici e pluralisti di Cuba.
E ancora: il penultimo classificato dei paesi latinoamericani per Freedom House è il Venezuela, paese che risulta 152esimo, ben 24 posizioni più in basso della vicina Colombia e preceduto perfino da Haiti. Tutto questo malgrado nel 2006 in Colombia siano stati uccisi ben 9 giornalisti (in Venezuela solo uno), e la stampa sia costantemente sotto la minaccia dei paramilitari. In Venezuela invece più della metà della carta stampata e dei media conduce una continua campagna contro il presidente Chàvez (usando non di rado toni molto duri ed espressioni al limite dell’insulto) ed ha in passato sostenuto il golpe del 2002, senza tuttavia incappare in sanzioni o censure governative. Ma tutto questo per la Freedom House non conta, come evidentemente contano poco i 9 reporter uccisi in Messico nel corso dell’ultimo anno, dal momento che lo stato centroamericano può vantare senza problemi un immeritato 103esimo posto in classifica. Con buona pace di tutti gli “esportatori di democrazia” del mondo.
E’ abbastanza per destituire pressoché di ogni credibilità la classifica di Freedom House, caro Beppe Grillo?
P.S. Un ultimo utile esercizio: provate a tradurre (letteralmente) Freedom House in italiano…