domenica 5 ottobre 2008

CHI L'AVRA' CONVINTO, IL GATTO O LA VOLPE?


Seconda stella a destra, questo è il cammino e poi dritto fino al mattino, poi la strada la trovi da te, e ...porta ad Arcore o giù di lì.

Dimenticate l'isola che non c'è e i burattini senza fili: stasera Edoardo Bennato si è esibito alla Festa del Popolo dela Libertà. I tempi cambiano e - per citare un altro menestrello nostrano, forse un po' più integerrimo - delle rabbie antiche non rimane che una frase o qualche gesto.

Solo un dubbio mi assilla: chi l'avrà convinto dei due, il gatto o la volpe?

giovedì 11 settembre 2008

TRENTACINQUE ANNI DOPO

"Vale la pena morir por todo aquello sin lo cual no vale la pena vivir..."

L'aveva detto, a futura memoria. E non ha esitato al momento di farlo.
E' stato il più grande rivoluzionario della storia. Il primo a capire che, come ha scritto Eduardo Galeano, la libertad y la justicia marchan juntas o no marchan.

La sua lezione è ancora viva in tutta l'America Latina ribelle e in ogni altro angolo del pianeta in lotta. E andrà molto più in là dell'infamia che ne ha decretato la fine. -

mercoledì 7 maggio 2008

BOLIVIA, QUALCHE DOVEROSA PRECISAZIONE SUL REFERENDUM AUTONOMISTA DI SANTA CRUZ


L’ho letto pressochè in tutti articoli che nei giorni scorsi commentavano il referendum autonomista di Santa Cruz : la consultazione, che pur ha visto una gigantesca vittoria del Sì, non si tradurrà in nulla di concreto, perché il presidente Morales la considera illegale ed illegittima.

Questa vulgata l’ha riferita lunedì il Tg1, l’ha scritta Omero Ciai su Repubblica e l’ha ripresa perfino Peacereporter (per coprire tutto lo spettro politico). Ma l’hanno presa per buona pure altre decine di giornalisti di varia provenienza. E il motivo è abbastanza scontato. Hanno tutti consultato le stesse fonti.

Ora che a Morales e al suo governo il referendum non andasse a genio è fuori discussione. Ma il punto non è questo. A bocciare il referendum e a bollarlo come illegale ed incostituzionale non è stato il presidente indio, ma la Corte Nazionale Elettorale. Quest’ultima non può essere certo accusata di parzialità: il suo presidente Exeni non ha fatto cadere solo il referendum autonomista, ma anche quello sulla costituzione promosso dall’oficialismo, perché il giorno in cui quest’ultimo era stato convocato si erano verificati dei disordini all’entrata del Congresso, con il risultato di impedire ad alcuni parlamentari dell’opposizione di votare.

Tuttavia mentre Morales ha accettato di buon grado la decisione di Exeni e della Corte, gli autonomisti hanno deciso di andare avanti per la loro strada, dimostrando tutto il carattere eversivo della loro iniziativa politica.

Peraltro l’incostituzionalità della consultazione non è opinabile. Come ha spiegato ottimamente l’amico Anticap la legge boliviana impedisce l’istituzione di referendum a livello dipartimentale se questi riguardano temi d’interesse nazionale. E’evidente che la concessione dell’autonomia ad un’intera regione è un tema d’interesse nazionale che non può essere stabilito unilateralmente dalla regione in questione. Ed è ugualmente evidente che qui non contano le opinioni del signor Morales, ma le leggi dello stato boliviano. Ma questo per tanti sciatti giornalisti nostrani non conta alcunché.

Poi già che ci siamo sarebbe il caso di analizzare un po’ meglio i risultati della consultazione. Il sì ha vinto effettivamente con l’81%, ma anche con un tasso di astensionismo di quasi il 40%. Ipotizzando anche che parte degli astenuti avrebbero votato sì, è difficile immaginare una percentuale di favorevoli allo statuto autonomista superiore al 60%. E questo ridimensiona e non poco il trionfalismo di Marinkovic e Costas.

Infine vanno ricordati altri due o tre fatti che inficiano e non poco la credibilità del referendum:

a) Per la prima volta nella storia della democrazia boliviana (cioè dal 1982), parte delle operazioni di voto è stata privatizzata. La Corte Dipartimentale Elettorale di Santa Cruz, diretta da quel Mario Orlando Parada la cui moglie Maria Julia Gutierrez è nientemeno che la presidente della “sezione femminile” del Comitè Civico di Santa Cruz, primo organizzatore del referendum, ha infatti commissionato all’impresa di un certo Miguel Serrano (di recente sospeso nelle sue funzioni dalla Corte Elettorale Nazionale per alcuni problemi legati al suo lavoro) il compito di curare il sistema informatico di conteggio. E’ la prima volta che questo accade in Bolivia e prefigura – secondo molti –scenari “da Florida”.

b) La giornata elettorale è stata caratterizzata da continue segnalazioni di brogli soprattutto al Plan 3000 – un quartiere povero di Santa Cruz – dove alcuni contestatori legati al Mas, hanno ritrovato svariate urne piene di schede elettorali pre-votate, ovviamente a favore dell’autonomia (vedi video). Inoltre in molti hanno segnalato irregolarità nella gestione dei seggi, spesso aperti nonostante l’assenza del numero legale di scrutatori.

c) Infine più del 10% dei voti espressi domenica risulta composto da schede bianche o invalidate da quei comitati elettorali che – come ha scritto ieri Maurizio Chierici su “L’Unità” – non hanno nulla da invidiare alla «Bulgaria dei soviet e al Cile di Pinochet».

Secondo la redazione dell’agenzia di stampa Bolpress, che adduce una lunga serie di prove in un interessante reportage, è possibile parlare apertamente di frode elettorale. Della stessa opinione è il Ministro alla Presidenza del governo boliviano Juan Ramon Quintana, che ugualmente paventa irregolarità nello svolgimento del referendum.

Quali che siano i dati reali - al di là della “contabilità creativa” della Corte Elettorale dipartimentale di Santa Cruz - non conviene tuttavia sottovalutare quella metà o poco più di voti espressi in favore dell’autonomia. Pur continuando a denunciare il carattere eversivo e strumentale dell’iniziativa del Comitè, è bene che il Mas s’interroghi su cosa non funziona nelle sue basi d’appoggio a Santa Cruz. In particolare su come sia possibile che migliaia di persone che vivono nei barrios più poveri della città orientale possano cadere vittima della retorica autonomista di Marinkovic e delle false promesse populiste di Costas.

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martedì 6 maggio 2008

VERONA: SE PER VELTRONI L'OMICIDIO DI UN RAGAZZO E'GRAVE QUANTO UNA BANDIERA BRUCIACCHIATA

Le dichiarazioni di Fini sull’omicidio squadrista di Verona hanno sollevato un polverone di polemiche. Per il neopresidente della Camera un omicidio (con l’aggravante “politica” di essere stato commesso da neonazisti) è meno grave di una bandiera bruciacchiata e di alcune (criticabilissime) contestazioni allo stato israeliano in occasione della Fiera del Libro. Non mi stupisce. Malgrado Fiuggi, malgrado Gerusalemme (buon) sangue non mente.

Piuttosto sono preoccupato. Il pensiero corre a 7 anni fa. Alle dichiarazioni di Fini sul G8 e alla sua inquietante presenza in una caserma genovese…

Quello che invece mi ha stupito ed indignato non meno delle dichiarazioni di Fini, sono state le parole di replica di Veltroni. Probabilmente perché provengono da “sinistra” e da chi non crederesti capace – al di là di ogni possibile distinguo – di certe cadute di stile.
Il leader del Pd ha infatti dichiarato: «Io sono per non stabilire mai priorità su questi temi. nel primo caso c’è la vita di un ragazzo che è stata spezzata ed è un episodio molto grave e sottovalutarlo sarebbe un errore molto serio; il secondo episodio è altrettanto grave e stabilire delle priorità è assolutamente sbagliato».

Veltroni ci è o ci fa? Personalmente non condivido nulla delle proteste contro Israele alla Fiera del Libro di Torino, ma è forse possibile mettere sullo stesso piano o ritenere ugualmente gravi l’omicidio di un ragazzo e delle pur discutibilissime contestazioni???!
A che gioco gioca Uòlter? Anche questo fa parte del “riformismo” e del piano per conquistare i voti del centro? Qual è il geniale spin doctor che ha suggerito all’ex sindaco di Roma queste incommentabili dichiarazioni?

Non si rende conto Veltroni che così facendo presta il fianco alla criminalizzazione del dissenso – non importa quale, non è questo il punto- equiparando una contestazione sbagliata a un fatto di sangue compiuto da neonazisti? Non si rende conto Veltroni che questa equazione inaccettabile che oggi colpisce i discutibili contestatori torinesi, domani può riguardare i sindacalisti, gli immigrati, i Rom, chiunque sia per qualche ragione scomodo?

Ripeto : a quale gioca sta giocando Veltroni? E perché nessuno si ribella da sinistra e anche all’interno del Pd (che di certo non è tutto omologabile al suo irresponsabile segretario) a queste dichiarazioni vergognose?

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sabato 3 maggio 2008

SANTA CRUZ, LA PAROLA AI MURI

Una breve rassegna di graffiti politici lungo i muri di Santa Cruz... ulteriore riprova del carattere "costruttivo" ed "edificante" dell'opposizione filo-separtista della città orientale.



(Trad. "Resistenza contro i narcocomunisti" - per i fautori dell'autonomia i "narcomunisti" sono il Mas di Evo Morales e i suoi esponenti n.d.r.)


(Trad. graffitto di destra "Evo [Morales] figlio di puttana". A sinistra "Tuto=Goni", ossia Jorge "Tuto" Quiroga ex-presidente boliviano uguale a Gonzalo Sanchez de Losada, altro ex-presidente (genocida) della Bolivia. Raro graffitto di sinistra (forse) sui muri di Santa Cruz.)


(Trad. "Nazionalizzazione= venezuelizzazione". Esempio di comunissima accusa di chavismo al presidente boliviano. Fai il paio con l'altrettanto difusissima scritta razzista - di cui purtroppo non siamo riusciti a reperire nessuna foto - "Evo chola de Chàvez" letteralmente "Evo donna indigena di Chàvez")


(Trad. "Evo morirà in Santa Cruz" - altro esempio di contestazione costruttiva e rispettosa, n.d.r)


(Trad. "Fanculo a Evo". Tra gli insulti volgari molto gettonato assieme a "Evo chupa pichi" che per decenza non traduciamo)


(Trad. "Evo colla [termine traducibile come "indigeno degli altipiani"] e merda". E' probabile che dal graffito originale sia scomparsa una "d" e l'"autore" intendesse "Evo colla di merda". Bonjour finesse et...racisme, n.d.r.).


Per chiudere una pietra miliare (e/o tombale). Trad "Evo, Santa Cruz sarà la sua tomba".


Un ringraziamento agli (ignari) utenti di Flickr Mst-Bolivia, Rodney J, Amy and Brent e Fides*yeruti, autori delle foto assieme al sottoscritto.


P.s. C'è ancora qualcuno in grado di credere alla "democraticità" degli eversori di Santa Cruz, quelli finanziati dagli Stati Uniti per favorire "la democrazia in Bolivia"?

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BOLIVIA A 24 ORE DAL REFERENDUM: O CONTRO GLI AUTONOMISTI O CON IL FEUDALESIMO!

Mancano solo 24 ore all’incostituzionale referendum pro-autonomia indetto dalla cricca oligarchica di Santa Cruz, quel Comitè Civico espressione delle 40 famiglie che si rimpallano da circa un secolo e mezzo il potere nella città orientale, avita roccaforte della destra razzista e golpista del paese.
Il mondo intanto fa finta di non accorgersi: tergiversa, ignora e glissa su quella che si avvia ad essa la polveriera del Sudamerica, la balcanizzazione del cuore del continente, quel piccolo paese incastonato tra le cordigliere andine divenuto negli ultimi anni sempre più strategico, crinale tra ancien regime neo-liberista e neo-coloniale e nuovo mondo possibile (almeno in America Latina). Il mondo glissa e gira lo sguardo altrove. Fa finta di non vedere il carattere eversivo dell’iniziativa elettorale di Marinkovic e soci e soprattutto la natura antidemocratica di chi ne garantirà la realizzazione: le squadracce dell’UJC, organizzazione giovanile del Comitè Civico, grupo de choque a servizio dei poteri forti dell’Oriente boliviano, tanto estremista a livello politico, quanto paramilitare nella prassi concreta.

Qualcosa comunque si muove nella “patria grande”: il Gruppo di Rio ufficialmente condanna, l'ALBA esprime solidarietà a Morales, mentre l’OEA prende una salomonica posizione a favore dell’unità boliviana. Nessuno appoggia apertamente l’eversione cruceñista e gli Usa si chiudono in un silenzio tanto eloquente quanto ipocrita. Dal Venezuela Eva Golinger denuncia (vedi video) i 120 milioni di dollari con i quali il Congresso americano – attraverso le solite organizzazioni di facciata (NED e USAID) – finanzia dal 2005 l’opposizione al governo di Morales e supporta le spinte separatiste. 120 milioni di dollari prima diretti (sic) a combattere il narcotraffico – di cui secondo i falchi di Washington Evo Morales sarebbe stato il capostipite – e quindi a “sostenere la democrazia boliviana” (nuovamente sic!).


Haz click en cualquier video para verlo

120 milioni di dollari non sono noccioline: sono venticinque volte tanto i finanziamenti all’opposizione venezuelana e qualcosa come un 1/200 del prodotto interno lordo boliviano. Non noccioline, appunto. D’altronde che gli Stati Uniti – almeno in parte – stiano spostando verso Sud il baricentro della loro ingerenza negli affari del subcontinente non è un mistero per nessuno. L’anno prossimo i marines sloggeranno dalla base di Manta – a cui Correa ha deciso di non rinnovare la licenza – e s’insedieranno con buona probabilità nel Perù dell’amico e alleato Alan Garcia, ultimo alfiere del Washington Consensus assieme al paraco Uribe. La Bolivia finirà stretta in una tenaglia tra il paese andino e la frontiera paraguayana dove ha sede un’altra base statunitense, per ora non in pericolo malgrado l’elezione di Lugo – a cui tra l’altro mancano i numeri per governare.
A la Paz poi da un anno e mezzo, presso l’ambasciata statunitense, resiede un certo Philip Goldberg, architetto nientemeno che degli accordi di Dayton: insomma uno che di balcanizzazione se ne intende eccome. E’ lui a dirigere la guerra di spie che è emersa negli ultimi tempi in Bolivia. Gli fa pendant in Paraguay – dove gli Stati Uniti hanno incassato la “sconfitta” dell’elezione del vescovo rosso Fernando Lugo – un certo James Cason, noto soprattutto per le sue molteplici trame anticastriste durante il lungo soggiorno a Cuba. Basta ricordare i nomi degli attori in campo per chiarire le strategie di Washington sul versante orientale delle Ande.


Nel frattempo, mentre Evo Morales e il suo entourage confermano che non dichiareranno lo stato di emergenza né manderanno l’esercito a Santa Cruz, per evitare gli scontri che potrebbero sprofondare la Bolivia in una guerra civile, il ministro degli Idrocarburi Vilegas dichiara ai microfoni di Telesur che una delle quattro multinazionali energetiche di fresca nazionalizzazione (l’annuncio è del 1 maggio) – Andina (Repsol), Chaco, Pan American Enery e Transeredes - è la principale finanziatrice della fronda cruceñista. Ecco svelato il segreto di Pulcinella. Vilegas tace il nome della multinazionale, ma non è un mistero per nessuno che le compagnie petrolifere che operano nel paese spingano tutte direttamente o indirettamente per un ripristino dello status quo ante Morales – ivi compresa la Petrobras, dell’”alleato” Brasile di Lula.
Nel frattempo a Santa Cruz si consuma un’inquietante quiete prima della tempesta: i movimenti che supportano Morales annunciano la rinuncia a scendere in massa a Santa Cruz per evitare l’enfrentamiento con gli autonomisti, ma alcuni barrios popolari della seconda città boliviana annunciano mobilitazioni per il giorno del referendum, minacciando di impedire l’installazione dei seggi, l’ingresso dell’UJC nei quartieri e promettendo la formazione di “cuarteles de resistencia” contro la consultazione. Oltre a una marcia contro il referendum prevista per il pomeriggio di domani.

Intanto lontano chilometri dal palcoscenico di Santa Cruz, dalle sue calles squadrate, dalla sua architettura coloniale, dai suoi lunghi porticati, dalla sua linda Plaza 24 Septiembre - da cui fa capolino un immenso bandiera verde-bianco-verde su cui all’antica scritta “Si la quieres defendela” (la patria cruceñista ovviamente) è stato aggiunto “Cruceño Vota por el si"” – si consuma la tragedia di ogni giorno. La tragedia dei latifondi scandalosi del departamento di Santa Cruz, delle guardie armate che difendono proprietà indecenti se confrontate alla miseria dilagante: immense tenute dove gli indigeni guaranì lavorano per dieci o quindici bolivianos (un euro e mezzo) al giorno. Solo negli ultimi tempi le guardie bianche al servizio di questi moderni signorotti feudali hanno provocato il ferimento di 33 indigeni e la scomparsa di altri 11, semplicemente perché questi reclamavano la restituzione di 157000 ettari di terre usurpate loro e mai restituite malgrado la riforma agraria degli anni ’90.
Dietro la retorica della decentralizzazione dei poteri, dell’orgoglio camba, dietro la pseudo-modernità di Santa Cruz, dietro le rivendicazioni di autonomia fiscale e gestione delle risorse in loco, perfino dietro il razzismo bianco e meticcio degli autonomisti che alimenta violenza e risentimento contro i colla, dietro tutto questo si nasconda un’unica e semplice cosa. Un virulento desiderio di mantenimento dell’ancien regime, barbaro feudalesimo latifondista, espressione dei privilegi di una piccola parassitaria oligarchia agro-esportatrice, legata agli interessi delle multinazionali degli idrocarburi e tenacemente aggrappata a decenni di sperequazione ed ingiustizia sociale. Oggi questi privilegi appaiono per la prima volta a rischio a causa della più radicale e audace rivoluzione democratica e culturale che la Bolivia abbia mai conosciuto nella sua storia – perlomeno dopo la rivoluzione del ‘52. Un rischio che – per Marinkovic e soci - va scongiurato a tutti i costi. Anche con l’eversione se necessario.


Ps. Allego qui sotto un video tratto dalla (francamente non eccelsa) televisione di stato boliviana, scovato e riproposto da A Sud. Una buona dimostrazione di quel regime feudale che gli autonomisti vogliono difendere a denti stretti.




Per approfondire leggi anche Bolivia, verso la secessione.

Riguardo al carattere implicitamente razzista dello statuto autonomista su cui i cittadini del dipartimento di Santa Cruz si esprimeranno domani, leggi l'appello su Selvas.org.

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giovedì 1 maggio 2008

MESSICO, IL TERRORISMO MEDIATICO CONTRO LOPEZ OBRADOR


Da qualche tempo il dibattito politico in Messico è dominato dalla questione della privatizzazione di Pemex. Pemex è l’azienda petrolifera statale, che il governo ultraliberista di Felipe Calderón, il presidente spurio andato al potere nel 2006 attraverso brogli sistematici, vorrebbe almeno in parte privatizzare.
Contro questo progetto si è sviluppato in tutto il paese centroamericano un grande movimento di protesta, che è arrivato fino al Congresso messicano, l’organo che dovrà prendere la decisione in materia. A capo di questo movimento si è messo nientemeno che Lopez Obrador, il candidato del Prd, il principale partito di centro-sinista del paese, palesemente frodato nelle ultime elezioni.

Contro l’intervento di Amlo in questa vicenda e contro l’occupazione simbolica del Parlamento messicano messa in scena dal suo movimento, Televisa una delle due emittenti televisive che grazie alla scandalosa "ley Televisa" monopolizzano di fatto l’informazione radiotelevisa del paese, ha trasmesso a ripetizione il seguente spot, vera chicca di disinformazione e terrorismo mediatico. Il video – non fosse altro che per alcuni palesi errori storici (Mussolini che prende il potere nel 1939?!) è stato censurato dall’Ife (l’Insituto Federal Electoral) che ne ha proibito la tramissione. Tuttavia merita comunque di essere visto, anche solo per farsi un’idea delle aberrazioni che la concentrazione dei mezzi radiotelevisivi nelle mani di alcuni ristretti gruppi di potere produce in diversi paesi dell’America Latina, dal Messico fin giù alla Bolivia.

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sabato 26 aprile 2008

CALDEROLI E MARTIN LUTHER KING: STATISTI A CONFRONTO



Geniale.

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sabato 19 aprile 2008

FORZA LUGO!


Domani in Paraguay si vota ed il favorito è Fernando Lugo, ex-vescovo progressista candidato per la sinistra del paese. Sarà finalmente la fine di sessant'anni di dominio, prima dittatoriale poi formalmente democratico, dello strossneriano Partito Colorado?

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FINO A QUANDO?

«Questa amministrazione va verso il ventennio leghista, e voi capite che il ventennio è una cosa che mi ricorda il passato, la maschia gioventù che lavorava, faceva il suo dovere e obbediva alle leggi»
Giancarlo Gentilini, ex-sindaco di Treviso, Lega Nord, 16 aprile

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IMMIGRATI, PER FAVORE NON LASCIATECI SOLI CON GLI ITALIANI!



Su una colonna, a Bologna.


Da PeaceReporter.

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giovedì 17 aprile 2008

ITALIA E SPAGNA SEMPRE PIU' VICINE, GRAZIE A BERLUSCONI!

Riporto qui la bella Striscia Rossa dell’Unità di oggi sul nuovo e straordinario corso dato dal neo-premier, alle nostre relazioni diplomatiche con i cugini spagnoli. Grazie Silvio!

«Zapatero ha fatto un governo troppo rosa che noi non possiamo fare anche perché in Italia c’è una prevalenza di di uomini»
Silvio Berlusconi Radio Montecarlo 15 aprile


«Le parole di Berlusconi sono un’offesa. Lui non avrà mai questo problema, perché molte donne non vorrebbero lavorare con un politico che pensa questo delle donne. Noi in molte non entreremmo mai in un governo presieduto da Berlusconi»

Magdalena Alvarez ministro spagnolo delle Infrastrutture, 16 aprile


p.s. Tutto il governo sarà cosi? Facciamo le corna! (...anzi no, che a quello ci pensa già lui..tra l'altro proprio in Spagna...)

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martedì 15 aprile 2008

"UN'OPPOSIZIONE FERMA E RESPONSABILE"

Tra le prime dichiarazioni di Veltroni di ieri, dopo la sconfitta, c’è stato l’annuncio di “un’opposizione ferma e responsabile”.


E chi potrebbe dubitarne?


Come non immaginare un domani, in caso per esempio di abolizione dell’articolo18, il compagno Ichino o il compagno Colaninno (eletti entrambi proprio qui in Lombardia) erigere barricate in Parlamento per difendere i diritti dei lavoratori?

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ITALIA 2008 - LA MORTE DELLA SINISTRA ED IL FALLIMENTO DEL PARTITO DEMOCRATICO

Se c’è una cosa che non sopporto in queste ultime ore di tremenda amarezza per la vittoria di Berlusconi e della Lega - che prefigura un quinquennio peggiore di quello 2001-2006 (quando a smorzare la violenza della politica del cavanserraglio berlusconiano c’era perlomeno l’Udc di Casini) sono i toni soddisfatti dei vari leader del Pd. Di cos’hanno da essere soddisfatti? Secondo me di nulla e basterebbe dare un ‘occhiata ai numeri per capirlo.

Prendiamo come esempio la Camera – ma al Senato le cose cambiano di poco- : nel 2006 l’Ulivo (gruppo unico di Margherita e Ds, embrione dell’attuale Pd) prese il 31,3, la Rosa nel Pugno (che univa radicali - oggi confluiti nel Pd -e Socialisti di Boselli) il 2,6, mentre i vari partiti che ora compongono la Sinistra Arcobaleno sommati tutti assieme il 10,2.
Ieri invece il Pd ha conseguito il 33, 1. Se sommiamo artificialmente al 31,3 dell’Ulivo del 2006 la metà dei voti della vecchia Rosa nel Pugno (ipotizzando che almeno metà di coloro che 2 anni fa votarono la Rosa nel Pugno la votarono per la presenza in essa dei radicali) arriviamo al 32,6. Questo significa, che ad onta dei grandi proclami di Veltroni e soci di inaugurare una nuova stagione politica, l’unione di Margherita e Pd ha prodotto – rispetto a quando i due partiti correvano da soli - un surplus di voti praticamente trascurabile, inferiore allo 0,5 %. Ma c’è di più.
Se si confronta il dato della Sinistra Arcobaleno del 2006 (10,2) con quello attuale (3,1) si nota che quest’ultima ha perso circa un 7% dei voti. Calcolando che l’ 1,2% di questi sono andati ai vari partitini alla sua sinistra (Sinistra Critica, Ferrando ecc…) e ipotizzando un astensionismo di non più dell’1% nelle sue file (legato all’ area più antagonista dell’elettorato storico di Rifondazione) ne consegue che un 5% di elettori della Sinistra Arcobaleno si sono spostati verso il Partito Democratico, nella logica del voto utile.
Questo significa che l’unione dei Ds e della Margherita in unico partito ha nei fatti portato ad una perdita di consenso da parte dei due vecchi partiti nell’ordine del 5%. Perdita compensata solo dallo spostamento verso il Pd di una fetta consistente degli elettori della Sinistra Arcobaleno, dovuto al timore di un nuovo governo berlusconiano. Questo significa, inequivocabilmente, che il progetto del partito Democratico - cioè di un partito unico che unisca “riformisti” post-comunisti e “riformisti” post-democristiani - si è dimostrato in termini elettorali un fallimento completo .

Chi scrive sosteneva un risultato simile da circa due mesi ed ha stressato amici e parenti ripetendosi convinto che purtroppo la sciagurata idea di Veltroni di correre da solo non avrebbe permesso al Partito Democratico di guadagnare neanche un voto al centro, ma avrebbe viceversa ridotto notevolmente il peso della Sinistra Arcobaleno. Se si è poi astenuto dal manifestarlo pubblicamente, è stato solamente per non influenzare negativamente una campagna elettorale che già sembrava più che compromessa. Quello che poi è avvenuto è una tragedia che va ben oltre ogni più nera previsione.
E pone un’ombra tragica sul futuro italiano. Ipotizza cioè la morte di qualunque forza politica fuori dal pensiero unico, che difenda il pubblico contro il privato, che si dichiari anti-liberista, contro la precarietà, contro la guerra, contro i Cpt e la sicurezza eretta a valore fondante dello stato. Non per difendere la Sinistra Arcobaleno - che era nei fatti un cartello elettorale un po’ raccogliticcio, che univa quattro formazioni ancora molto disomogenee e non aveva un grande progetto alternativo per l’Italia – ma è fuori discussione che il dato più preoccupante che consegnano queste elezioni è sicuramente l’americanizzazione dello scenario politico italiano. Da oggi il Parlamento sarà la casa di due uniche forze: una di estrema destra, xenofoba, securitaria e clientelare e un’altra di Centro, di impronta neoliberista ma con qualche sfumatura progressista. Esattamente come avviene da sempre negli Usa, in Inghilterra da una ventina d’anni o nel Cile della Concertación. L’unica speranza è che buona parte degli elettori del Pd, ancora di centrosinistra, che non condividono il progetto veltroniano di un partito interclassista di centro (sorta di nuova Dc laica rivolta a sinistra), sappiano influenzare la rotta del loro partito. Perché - anche alla luce dell’assenza della Sinistra Arcobaleno in Parlamento - viene da dire , parafrasando Nanni Moretti, che con questi leader non solo non vinceremo mai, ma non saremo neanche mai in grado di far l’opposizione.

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EMIGRIAMO?

venerdì 11 aprile 2008

SINVERGÜENZA

Ripubblico qui una foto scattata dall'amico Roberto di Nuova America, a Roma, nella multietnica Piazza Vittorio.
A quanto pare la laida Santanchè, terminato il consueto armamentario xenofobo, ha deciso di scomodare anche la povera Evita Peròn (che si rivolterà nella tomba) per la sua meschinissima campagna elettorale.

In Argentina negli anni '70 si diceva che "si Evita viviera, seria montonera" pensando che la defunta consorte di Peròn, se fosse sopravvissuta, avrebbe combattuto contro la dittatura e i fascisti della Triple A. Cioè proprio contro quella gentaglia che s'ispirava alla medesima ideologia nera a cui s'ispira la squallida Santachè.
Amen.

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LE COMICHE FINALI


Giovedì 10 aprile, a 48 ore dal voto. Berlusconi a Vespa, tendendogli la mano "Venga Vespa, odori qui: non sente odore di santità?...".

C'è qualcos'altro da aggiungere per gli elettori indecisi?

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giovedì 10 aprile 2008

PENSIERO DEBOLISSIMO

La notizia la conoscete tutti: Gianni Vattimo, il filosofo teorico del pensiero debole è da oggi il primo (e ancora unico fortunatamente!) firmatario di una petizione contro la protesta dei monaci buddisti in Tibet e – nello specifico - contro il presunto “attacco mediatico occidentale” mirante ad occultare (sic!) quanto realmente sta avvenendo in Cina. Attacco mediatico che – secondo l’appello – si configurerebbe come una «versione aggiornata del piano imperialista inglese contro la Cina».

Si potrebbe rispondere in tanti modi a queste affermazioni. Per esempio scomodando le denunce e le inchieste di associazioni per i diritti umani paludate e attendibili come “Amnesty International” o “Human rights Watch”.

Ma probabilmente non ne vale la pena. Forse la cosa migliore è porsi l’unico interrogativo sensato in questo frangente: qualcuno avrà avvertito il filosofo Vattimo che negli ultimi vent’anni la Cina, da autoritario regime comunista si è trasformata nel più rapace paese imperialista della terra, alfiere di un neoliberismo ancora più selvaggio di quello dei vituperati Stati Uniti?


p.s. Dimenticavo: tra le altre motivazioni anti-Tibet e pro-Cina addotte da Vattimo vi è il fatto che il Tibet sia un paese “teocratico” – ancorché democratico – dove l’autorità civile e quella religiosa non sono rigorosamente distinte. Nulla da eccepire: spero anche io che un futuro Tibet indipendente sia in grado di secolarizzarsi al più presto.
Ma Vattimo sarebbe disposto un domani a fare lo stesso discorso di fronte a un' ipotetica invasione statunitense della teocraticissima – e per nulla democratica – Repubblica islamica dell’Iran?

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MA PERCHE' IL TG1 NON MANDA ME AL POSTO DELLA MAGGIONI A INTERVISTARE IL MARITO DI INGRID BETANCOURT IN COLOMBIA?

Ieri sera, tornato a casa dalla bella presentazione di “Sotto pressione”, libro sulle violazioni della libertà d’informazione in Colombia, ho accesso distratto la televisione prima di andare a dormire. E mi sono imbattuto su un servizio del Tg1 di Monica Maggioni da Bogotà. Mi sono immediatamente domandato che cosa ci facesse la Maggioni – di solito inviata di guerra (tendenzialmente embedded) in Medio Oriente – in un paese del Sudamerica, di cui non mi risultava fosse specialista.
In ogni caso il servizio consisteva di fatto in un’intervista al marito di Ingrid Betancourt. La domanda principale dell’intervista era se Ingrid Betancourt avesse mai – nei sei anni di prigionia – fatto avere sue notizie al consorte. Domanda alla quale, il marito della Betancourt ha risposto con molto cortesia ricordando la lettera della moglie dello scorso novembre - lettera che in Italia è stata addirittura pubblicata da un editore come Garzanti (mica Kaos Edizioni o Derive Approdi). Ma d’altronde la Maggioni perché mai avrebbe dovuto esserne a conoscenza: in fondo era soltanto inviata speciale in Colombia!
Ma al di là di questo mi domando: cosa voleva sentirsi rispondere alla sua bella domandina la fulva inviata del Tg1? Forse che Ingrid manda ogni giorno dalla selva messaggini con scritto TVTB al marito?
Che razza di domanda è chiedere al marito di una persona sequestrata da 6 anni se riceve direttamente notizie dalla consorte? Che notizie potrà mai ricevere? C’è bisogno di spendere copiose quantità di denaro pubblico per mandare in Colombia una giornalista che nulla sa di Colombia a fare domande così cretine? Soprattutto perché mandare lei quando in realtà la Rai avrebbe degli altri validissimi giornalisti come Silvestro Montanaro (che recentemente ha realizzato uno stupende reportage dal paese andino) o Raffaele Fichera, corrispondente a Buenos Aires?
Quanti di noi avrebbero potuto fare un lavoro più valido, rivolgendo domande più sensate al consorte della Betancourt, della rampante prima donna del Tg1?

Ancora una volta a chi giova quest’informazione sciatta e superficiale su un argomento complesso e difficile come la guerra civile colombiana? A che gioco gioca il mediocrissimo Tg1 di Gianni Riotta?

Magari qualcuno un po' più maligno di me, una risposta a questo interrogativo ce l’avrebbe anche...

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martedì 8 aprile 2008

PRESENTAZIONE DI "SOTTO PRESSIONE. IL GIORNALISMO IN COLOMBIA PRIGIONIERO DI GUERRIGLIA, NARCOTRAFFICO, PARAMILITARI E GOVERNO" A MILANO

Approfitto nuovamente di questo spazio per un’importantissima segnalazione: la presentazione domani sera alle 20.30a Palazzo Isimbardi a Milano (via Vivaio 1) del libro “Sotto pressione” sulla disastrosa situazione della libertà di informazione in Colombia, curato dagli amici di Selvas insieme a Information, Safety and Freedom e l’associazione Traduttori per la pace. Ospite della serata sarà il giornalista colombiano Hellman Morris e verrà proiettato uno stralcio di un documentario tratto dalla serie “Contravia”.
Altri ospiti dell’incontro, oltre ai curatori Martin E. Iglesias e Stefano Neri, saranno l’ On. Tana De Zulueta, Vicepresidente della Commissione Affari esteri e comunitari, Irma Dioli, Assessore alla Pace, Partecipazione e Cooperazione internazionale della Provincia di Milano e il giornalista Rai e presidente di ISF Stefano Marcelli.


Io ci sarò e invito tutti voi a venire. A questo link la scheda del libro. Qui sotto la locandina dell’evento.

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venerdì 4 aprile 2008

BOLIVIA, VERSO LA SECESSIONE?

A un mese esatto dall’incostituzionale referendum sullo statuto autonomista del prossimo 4 maggio, l’establishment cruceño ha deciso di alzare nuovamente la posta in gioco nello scontro contro il governo di La Paz.
E’avvenuto l’altro ieri nel corso di un’affollatissima (ahimè) manifestazione tenutasi al Parque Industrial di Santa Cruz de la Sierra. In mezzo a un tripudio di bandiere verde-bianco-verde, Ruben Costas, prefetto dissidente della città orientale, ha affermato coram populo che in caso di vittoria del sì nella consultazione, il governo dipartimentale della regione promulgherà una lunga serie di decreti per scavalcare le leggi e le direttive che arrivano dal Palacio Quemado.
Si comincerà con uno “sciopero fiscale” sui generis: l’IDH, l’imposta sugli idrocarburi voluta da un referendum promosso da Mas e movimenti sociali nel 2004, rimarrà in loco, negando il finanziamento de la Renta Dignidad, la pensione di vecchiaia universale istituita coraggiosamente mesi fa dal governo.
Quindi si procederà a un superamento della proibizione di esportare l’olio, misura recentemente adottata da Morales per proteggere il fabbisogno interno e combattere la speculazione. A seguire si darà il via a una serie di promesse di forte impatto popolare per le classi subalterne di Santa Cruz (perché nessuno le chiama populiste questa volta?), finanziate dalla futura autonomia fiscale e dal mantenimento in loco dell’IDH: un piano di edilizia popolare, aumenti salariali, un assicurazione sanitaria dipartimentale. Il tutto grazie a «los recursos que [el departamento] va a recuperar». Con buona pace del pauperimmo resto del paese, ovviamente.

Il carattere eversivo di queste proposte è sotto gli occhi di tutti. All’origine vi è il rifiuto di prender atto della bocciatura del referendum da parte della Corte Nazionale Elettorale di qualche settimana fa’. Il presidente di quest’ultima, Jose Luis Exeni, noto anche per la sua attività di blogger, ha infatti fatto cadere entrambe le consultazioni che erano in programma: quella “governativa” sul nuovo progetto costituzionale – per l’assenza di un clima adatto – e quella autonomista - per la sua palese incostituzionalità. Ma mentre l’oficialismo ha accettato di buon grado il verdetto della Corte, l’oligarchia cruceñista non si è rassegnata e ha deciso di portare avanti il referendum, costi quel che costi. Anche se a difenderlo – come abbiamo ricordato qui – dovranno essere le ronde neonaziste dell’UJC, la Forza Nuova locale. Il tutto mentre qualcuno continua a vedere nella cricca cruceñista la vera Bolivia democratica, ostaggio del populismo nazionalista (sic!) del governo indigenista di La Paz.

E così nell’indifferenza dei grandi media internazionali, la Bolivia, a due anni dall’elezione di Morales assomiglia sempre più al Cile pre-golpe del ’73. Pochi giorni fa un massiccio sciopero dei sindacati degli autotrasportatori – alleati a doppio filo con l’oligarchia agroesportatrice di Santa Cruz – ha paralizzato il paese, in maniera non dissimile a quanto accadde nei giorni della morente Unidad Popular cilena.
E non finisce qui. La tensione cresce infatti in tutti i dipartimenti governati dai prefetti “autonomisti”, così come a Sucre dove un pretestuoso e strumentalizzatissimo conflitto sulla Capitalia (da riportare nella vecchia ciudad blanca togliendola all’”usurpatrice” La Paz) crea non pochi grattacapi al gabinetto Morales e non pochi disordini e violenze.
Inoltre la guerra di spie scoperta qualche settimana fa’ (gli Stati Uniti pagavano studenti e borsisti nordamericani per spiare cittadini venezuelani e cubani nel paese) ha rivelato che le oscure manovre della diplomazia Usa in Bolivia non sono mai finite – anche se forse ora hanno meno incidenza che in passato.
Infine non dovrebbe rappresentare un segreto per nessuno l’evidente simpatia per gli autonomisti di tutte le multinazionali degli idrocarburi che operano nel paese, per le quali una vittoria della fronda anti-Morales potrebbe significare un rapido ripristino della situazione anteriore all’insediamento del presidente indio.

Tuttavia, come già detto altre volte, la scelta di questa strategia autonomistico-secessionista è già di per sé un ripiego. E’indubbio che fino a dieci anni fa, quando l’ortodossia del Washington Consensus non era ancora stata intaccata dal vento progressista che spazza da anni il vecchio “cortile di casa”, la situazione boliviana sarebbe stata risolta nel più classico dei modi: con un golpe militare, finanziato ad altre latitudini. Ma di questi tempi come ha detto los tesso Evo Morales tempo fa, gli autonomisti “bussano alle porte delle caserme, ma i militari hanno [...] un'altra mentalità”. Anche perché la mutata situazione internazionale – comprensiva di minacce del Venezuela di Chávez di vietnamizzare la Bolivia in caso di rovesciamento di Morales- funge da valido deterrente. Ma non scaccia gli spettri di una crisi di difficilissima soluzione. Nè quelli di una vera “balcanizzazione” del paese. Prospettiva rispetto alla quale la recente e scellerata proclamazione unilaterale di indipendenza da parte del Kosovo, potrebbe fungere da pericolosissimo precedente.

Insomma gli ingredienti per rendere nuovamente la Bolivia la polveriera del Sudamerica ci sono tutti. L’unica speranza è che la volontà distruttiva di qualcuno degli attori in campo (la destra moderata che spalleggia l’oltranzismo di Marinkovic e soci) venga meno prima della catastrofe.

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mercoledì 2 aprile 2008

ROM, FOLGORATI SULLA VIA DI DIONIGI

Vi ricordate Andrea Galli, il cronista del Corriere (di cui abbiamo parlato qui settimana scorsa) che inventava di sana pianta l’esistenza di masse inferocite di cittadini della Bovisa contro la presenza dei Rom in quartiere?
Bene oggi, sempre sul Corriere, il buon Galli scrive due articoletti mielosi in cui si intenerisce per la misera sorte dei poveri Rom, costretti ad emigrare di campo in campo da anni, sotto l’azione delle ruspe e della polizia. Folgorato sulla via di Damasco? No, folgorato sulla via di Dionigi. Ovviamente Dionigi Tettamanzi, l’arcivescovo di Milano, che ieri ha scritto una nota durissima contro lo sgombero definitivo del campo Rom di via BovisaSca, parlando esplicitamente di violazione dei diritti umani e non facendo rimpiangere ai cittadini milanesi, una volta tanto, il buon vecchio cardinal Martini, “pre-pensionato” anni fa’ dal Vaticano, con il solito promeatur ut amoveatur.
E allora il buon Galli, con la coda tra le gambe, si adegua. E abbandona Salvini per salvarsi l’anima – o meglio la patente di ateo-devoto, fondamentale in Italia per far carriera. Tutto questo però ha un nome preciso: Ipocrisia. Ed anche lautamente pagata. Ma fintanto che la diocesi di Milano, mantiene un po’ di indipendenza da Ratzinger e Ruini e condanna lo squallore della politica di De Corato e soci, forse è meglio così.


P.s. Un’altra chicca dal Corriere. A pag 20, a fianco dell’articolo di Galli, Elvira Serra intervista il filosofo Reale, il quale afferma, a proposito della questione Rom, che bisogna farla finita con il buonismo, perché tanto con i Rom non c’è alcuna possibilità di "communicatio idiomatum". A, Professò, ma se per una volta abbandona il "latinorum" e l’iperuranio e viene a dare un’occhiata di persona al Campo Rom? Guardi, non dubito che con tutti i suoi titoli accademici, vedendo le cose di persona come Galileo nel cannocchiale, magari possa capire qualcosa in più anche lei…

P.p.s L’ottimo intervento della Curia milanese ha avuto il suo effetto nel Belpaese dei baciapile: lo sgombero della Bovisasca è finito in prima pagina sul Corriere ed è stato sviscerato dall’Avvenire, da Repubblica ecc..... E tutti hanno cambiato accento, passando dall’indignato all’accorato.

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martedì 1 aprile 2008

LO SGOMBERO DEL CAMPO ROM DELLA BOVISA E LA FABBRICA DEL CONSENSO DELLE DESTRE

E’finita come (quasi) tutti si aspettavano e sapevano. Questa mattina il campo Rom di via Bovisasca è stato sgomberato definitivamente.
Si è trattato di uno sgombero “gentile”: i pochi Rom rimasti nel campo malgrado la campagna di terrorismo psicologico degli ultimi giorni, hanno deciso spontaneamente, dopo una trattativa con le forze dell’ordine, di abbandonare il campo prima che le ruspe entrassero in azione, riuscendo così a portar via le proprie cose.

Alla fine il Prefetto ha, a quanto pare, ceduto alle pressioni dell’amministrazione comunale e autorizzato lo sgombero di ciò che rimaneva del campo. Il vicesindaco De Corato (An) ha ottenuto quello che voleva: frenare l’emorragia dell’elettorato di destra della zona verso La Destra di Daniela Santanchè, protagonista nei giorni scorsi di un disgustoso e patetico tentativo di strumentalizzazione della vicenda. Forse uno sgombero “lacrime e sangue” sarebbe stato più produttivo da un punto di vista elettorale, ma così facendo prefetto e amministrazione comunale hanno salvato capra e cavoli, accontentando tutti. Tranne i Rom, s’intende.

Dove andranno i Rom ora è difficile dirlo. Sicuramente si accamperanno in altre zone della città e la giostra ricomincerà, palesando un’altra volta l’inutilità e la controproducenza dei cosiddetti sgomberi ciechi, gli sgomberi condotti senza alcuna soluzione alternativa al disagio abitativo dei cittadini Rom. Si parla di una possibile sistemazione di donne e bambini - con conseguente smembramento dei nuclei famigliari - nei dormitori dell’emergenza freddo di via Saponaro, viale Ortles e via Barzaghi, lasciati liberi da ieri (31 marzo) dai rifugiati politici. Ma per ora nessuna proposta concreta è arrivata in questo senso. E i volontari delle associazioni che negli ultimi mesi hanno lavorato nel campo, tamponando come potevano le varie emergenze umanitarie, si sentono sonoramente presi in giro.

Per chi scrive però sarebbe un errore addebitare tutto questo a un’incapacità politica da parte dell’amministrazione comunale di Milano. La politica degli sgomberi ciechi che sta facendo “ballare” in giro per la città qualche migliaio di Rom ormai da diverso tempo – nella “beata” indifferenza della provincia di centrosinistra - non è frutto di un’incapacità di risolvere il problema, ma di una precisa strategia politica. Mantenere il problema insoluto equivale ad avere sempre una questione Rom da strumentalizzare, da cavalcare demagogicamente per conquistare voti e consenso, facendo leva sulle paure dei cittadini e sulla cosidetta insicurezza percepita (che come tutti sanno è cosa ben diversa da quella reale). Mandare in giro i Rom di campo in campo, di quartiere in quartiere, serve per conquistare sacche di consenso nelle varie zone toccate dal problema e rinsaldare così il “fronte interno” E poco importa se questo gioco al massacro si gioca sulla pelle di donne, uomini, bambini che vivono nella più assoluta precarietà. Perché tanto poi ci penserà la vulgata razzista spacciata a reti unificate e nutrita di tutti i luoghi comuni possibili e immaginabili a cacciar via ogni preoccupazione d’indole umanitaria.

E così si va lentamente verso il peggio, tra il cinismo di pochi e l’indifferenza dei più.

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