lunedì 23 aprile 2007

IL PIACERE E L'AMORE

La critica, dopo il paesaggio a Cannes dell’anno scorso, lo ha definito l’Antonioni turco. Quel che è certo è che Nuri Bilge Ceylan, di cui già qualche anno fa, avevamo potuto vedere lo splendido Uzak, si conferma con questo suo quarto lungometraggio (il terzo a uscire sugli schermi italiani) una delle personalità più interessanti del cinema d’autore internazionale.
Una prima notazione va riservata al titolo italiano, a dir poco scellerato. Il distributore, la BIM (comunque coraggioso a mandare nelle sale un film d’autore turco) ha optato per il libidinoso Il Piacere e l’Amore sperando che un qualche vago istinto pruriginoso, complice il trailer, potesse attirare il pubblico nelle sale; in questo modo ci ha fatto quasi rimpiangere i tempi in cui Domicile conjugal di Truffaut veniva trasformato in Non drammatizziamo è solo questione di corna.
Il titolo originale Iklimer [tr. Climi] permette invece di comprendere meglio la delicata vicenda del film, che comincia in un solare pomeriggio d’estate nella località balneare di Kas e termina in una nevosa mattinata d’inverno nell’entroterra del paese.
In mezzo c’è la fine di un amore e il girovagare stanco di un uomo in cerca di un irraggiungibile ubi consistam (sentimentale, ma non solo) e allo stesso tempo incapace di vivere ed affrontare le proprie responsabilità. Isa il protagonista è infatti un professore universitario, tanto inabile a dare una svolta alla propria carriera (la sua tesi di docenza giace nel dimenticatoio da anni) quanto alla propria vita affettiva (divisa com’è tra la “compagna stabile” Bahar con cui non riesce a comunicare e l’amante Serap, a cui non lo lega nient’altro che un desiderio fisico tanto feroce quanto arido).
Ma le stagioni trapassano e la neve finale che invade lo schermo (quasi come la neve di Joyce invade la pagine finali di Gente di Dublino) sembra suggerirci che la rozzezza e l’immaturità del protagonista si è fatta gelo e grigiore esistenziale, morte spirituale, in attesa forse di una nuova primavera.
Che si tratti di una metafora della Turchia attuale, attratta tanto dalla modernità e dallo stile di vita occidentale quanto indissolubilmente legata alla sua storia profonda e alle sue pulsioni ancestrali (pulsioni che il regista Bilge Ceylan sembra quasi materializzare plasticamente in una delle scene d’amore più violente, ambigue ed affascinanti degli ultimi anni)?
Può darsi. Ma quello che più conta qui sono la qualità eccelsa della scrittura filmica e l’originalità dell’universo poetico di Bilge Ceylan. La capacità di far parlare le cose da sole, che siano gli stupendi e sconfinati paesaggi della Turchia o i più piccoli e irrilevanti dettagli della realtà quotidiana: un insetto che cammina sulla terra riarsa, una nocciolina che rotola lenta sull’impiantito di un salotto borghese di Istanbul. Insomma la capacità di dare piena espressività significante ad ogni inquadratura, dentro ad un linguaggio filmico basato sullo ieratico concatenamento di lunghi piani fissi e rapidi totali di abbacinante bellezza.
Cosi anche uno sporadico ralenti sul volto della protagonista o un suo pomeridiano sogno “fuori fuoco” possono dar vita ad aperture di senso inaspettate, a squarci di poesia od illuminazioni improvvise.
Forse Il piacere e l’Amore, per via del suo lirismo pensoso, scarno e purificato, non sarà per tutti i gusti, ma rappresenta un’opera importantissima nel panorama del cinema mediorientale attuale.

venerdì 20 aprile 2007

L'ITALIA VISTA DALLA REPUBBLICA CECA

Qualche giorno fa ho conosciuto una ragazza della Repubblica Ceca, in Italia per motivi di studio. Dopo una po’ di conversazione, a sorpresa, ha chiesto a me e ad alcuni miei amici se eravamo credenti. Ognuno di noi ha dato la sua risposta.
«Ve l’ho chiesto» ci ha spiegato poi «perché a me sembra che tutti gli italiani credano nel Papa, ma che nessuno creda in Dio».


Più chiaro di così…

lunedì 16 aprile 2007

TEMPI BUI PER I FAUTORI DELLO SCONTRO DI CIVILTA'

Brutte notizie per i teorici dello scontro di civiltà…L’altro ieri ad Ankara centinaia di migliaia di persone hanno sfilato per la laicità dello stato e contro la rielezione del premier filo-islamico Erdogan.


Con il dovuto senso del relativo fa sorridere che in Italia – dove è in atto parimenti una minaccia, seppur più blanda, alla laicità dello stato – non siano scese in piazza neanche un quinto delle persone presenti a quel corteo.

Davvero tempi bui quindi per chi continua a ripeterci che con “quelli là” non ci può essere dialogo, che sono tutti integralisti e che il mondo islamico in toto (quasi fosse il monolito di 2001 Odissea nello Spazio) è indietro di cinquecento anni rispetto a noi…

venerdì 13 aprile 2007

IL FANGO E LA SABBIA

E’ la notizia del giorno. O meglio lo è e non è – dal momento che risale allo scorso settembre, ma è stata resa nota solo ora. La Procura di Brescia ha messo sotto inchiesta i giudici milanesi Pomarici e Spataro che indagano sul caso Abu Omar. Il motivo è sempre il solito: violazione del segreto di stato. Dell’inconsistenza di questi capi d’accusa se ne è gia parlato a lungo. Ma in ogni Banana Republic che si rispetti è d’uopo spargere un po’ di fango… oltre alla sabbia per in(sabbia)re, ovviamente. La Procura di Brescia poi è specializzata nello spargere fango… chi non ricorda l’indagine su Di Pietro l’indomani di Tangentopoli?
Poi le cose si smontano ovviamente – come già avvenne, tanto per l’indagine su Di Pietro che, in tempi più recenti, per quelle su Don Vitaliano della Sala o per il “teorema cosentino” nei confronti dei no-global napoletani…
Ma un po’ di fango fa sempre bene…perché in Italia, si sa, le notizie false valgono mille volte di più delle loro smentite.


P.s. Non aspettatevi di sentire questa buona novella nei nostri amati tiggì, neppure nel “riottoso” Tg1 di Riotta…poverini, è che sono troppo impegnati ad occuparsi del menù carcerario di Fabrizio Corona o delle scritte contro Sua Eminenza il Generalissimo Bagnasco!

mercoledì 11 aprile 2007

CAPEZZONE E GINO STRADA

Ieri sera, interrogato al proposito dal tg1 di Giani Riotta, il leader radicale Daniele Capezzone ha definito Gino Strada «uno che pensa che in Afghanistan si stesse meglio sotto i talebani».
La boutade è talmente grossa e talmente disonesta intelletualmente che si commenta da sola.
Ma la questione è un’altra: c’è davvero ancora qualcuno in grado di sostenere che un neoliberista ed atlantista esasperato come Capezzone non stia nel centrosinistra solo per opportunismo?

martedì 3 aprile 2007

SANTO MAI. PAPA WOJTYLA E L'AMERICA LATINA

Nel chiudere la prima fase della causa di beatificazione di Papa Wojtyla, il cardinal Camillo “Eminence” Ruini ha adotto come motivi della richiesta di canonizzazione, la grande difesa della vita e della libertà da parte del defunto pontefice.
Belle parole certo e che sortiscono il loro effetto.
Ma di quale vita e quale libertà parla Ruini?

Forse della vita e della libertà delle migliaia di cileni uccisi, imprigionati, torturati, straziati dalla polizia di Munuel Contreras al servizio del sanguinario generale Augusto Pinochet, a fianco del quale Wojtyla si fece fotografare al balcone della Moneda?

«E l’uomo bianco scese dal cielo/ ma era al di là delle barricate/ E l’uomo in bianco vide la morte / Ma era al di là delle barricate» cantavano i Liftiba quasi vent’anni fa, quando Giovanni Paolo II in visita a Santiago si limitava a vaghi auspici di una democratizzazione del Cile e solidarizzava con la giunta militare – più tardi avrebbe espresso solidarietà al "povero" Pinochet, inquisito nel 1998 dal giudice spagnolo Baltasar Garzón.

O forse quella dei trentamila desaparecidos argentini, gettati a morire nel Rio de la Plata o nello Stretto di Magellano, mentre la Chiesa cattolica andava a braccetto con la dittatura fascista di Videla e Massera, di cui il nunzio apostolico Pio Laghi (alla morte di Wojtyla considerato nientemeno che quinto elemento papabile) era addirittura intimo sodale e compagno di tante partite di tennis?

O forse ancora quella delle centinaia di preti (!) guatemaltechi uccisi negli anni della dittatura di Ríos Montt, che la Chiesa Cattolica fece finta di non vedere per ottenere l’appoggio di Washington e di Reagan nella lotta contro i regimi comunisti dell’Est?

Oppure quella delle centinaia di vittime degli squadroni della morte del generale D’Aubisson in Salvador (il cui motto era Haga patria, mate un cura cioè «Sii patriottico, ammazza un prete»), proprio quelli che Oscar Romero aveva documentato in un voluminoso dossier che portò a Roma dal pontefice, poco prima di essere barbaramente ucciso nel 1980, sentendosi rispondere soltanto che non doveva inimicarsi il governo salvadoregno?

O ancora quella delle migliaia di cittadini nicaraguesi uccisi dalle contras che la banca vaticana finanziava attraverso il discutibile e discusso banchiere Marcinkus, a cui il nostro caro papa accordò sempre fiducia fino al 1989, malgrado tutti i sospetti di coinvolgimento nell’omicidio Calvi e nel caso Sindona?

L’elenco potrebbe continuare a lungo. Ma la questione è una sola: lo vogliamo riconoscere una volta per tutte che Wojtyla, almeno per la prima meta del suo pontificato, è stato se non complice perlomeno compiacente nei confronti di alcuni dei peggiori criminali e massacratori dell’ ultimo quarto del secolo scorso?
Debole con i potenti e potente con i deboli Wojtyla strinse la mano ad Augusto Pinochet Ugarte, il più grande criminale della storia dell’America Latina e puntò invece l’indice contro il religioso Ernesto Cardenal, perché in nome di quel Cristo in cui credeva, aveva ritenuto giusto sostenere la rivoluzione sandinista e le sue prospettive di democrazia e giustizia sociale per milioni di nicaraguesi.

Certo dopo la caduta del muro di Berlino Wojtyla in parte cambiò, si rabbonì, disse anche parole coraggiose contro la mafia o la guerra in Iraq. Fece passi avanti verso l’ecumenismo e il dialogo tra le religioni, pur continuando nella sua politica di controriforma del Concilio Vaticano II, attraverso l’accentramento e il rafforzamento del potere del pontificato e la repressione di ogni dissenso o critica interna. Ma quelle pagine tremende di appoggio a dittature spietate e sanguinarie non si possono cancellare certo con un colpo di spugna.

E a voi tutto questo sembra in odore di santità?

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