martedì 30 ottobre 2007

ARGENTINA, LA VITTORIA DI CRISTINA FERNANDEZ IN KIRCHNER

E’andato tutto come previsto alla fine in Argentina. Cristina Fernández in Kirchner, primera dama (cioè first lady) del presidente uscente Nestor Kirchner si è imposta con il 43% dei consensi nelle elezioni presidenziali, evitando quindi, secondo quanto dispone la legge argentina, perfino il ballottaggio – il premio di maggioranza consente a qualunque candidato superi il 40% con almeno il 10% di vantaggio sul secondo di entrare direttamente alla Casa Rosada.


Nessuna sorpresa quindi, a parte quella di non vedere per la prima volta sulla scheda le sigle storiche che da più di mezzo secolo si rimpallano il potere nelle paese australe: il PJ (il Partido Justicialista, il partito che raccoglie l’eredità peronista) e l’UCR (Unión Civica Radical, il Partito che da sempre si configura come alternativa moderata agli eredi del colonnello Peron). Sorpresa per la verità solo “nominale”, dal momento che la contesa si è comunque giocata tutto sommato su un classico schema peronismo vs anti-peronismo – anche se quello dei Kircner è pur sempre un peronismo fondamentalmente di (centro)sinistra. Ne si è avuto il tanto temuto effetto Macri, vale a dire l’influenza sulla consultazione del neo-governatore dello stato di Buenos Aires (leggasi il Berlusconi argentino) grande cliente una quindicina d’anni fa del governo ultraliberista di Carlos Menem ed alfiere di una nuova destra affarista, populista e spaccona – al nostro Silvio lo accomuna anche la proprietà di un club calcistico, nientemeno che il Boca Juniors, la squadra in cui esordì Diego Armando Maratona.

Può essere tuttavia utile a comprendere l’entità del successo della presidenta riepilogare le forze in campo nella contesa elettorale. Cristina Fernández e il suo Frente para la victoria hanno sconfitto in prima istanza Elisa Carriò, candidata della Coalición Civica, principale erede del UCR e paladina dell’opposizione “cristiano-sociale”, attestasi su un magro 22%. Al terzo posto (19%) Roberto Lavagna, ex-ministro dell’economia del governo Kirchner passato nelle file dell’opposizione “radicale” e sostenuto da personaggi sinistri della “prima repubblica argentina” come Raul Alfonsín e Eduardo Duhalde. In ordine sparso gli altri candidati: Alberto J. Rodriguez Saa (capofila del “peronismo dissidente”) al 7%, il regista Fernando Solanas (maestro del cinema sudamericano e portavoce di una sinistra più radicale e filo-chavista) al 1,6 e López Murphy (già ministro dell’economia nei gabinetti Menem e sostenitore del neoliberismo più puro e selvaggio, oggi fortunatamente caduto in disgrazia) a poco meno dell’1,5.

Un primo equivoco va sciolto subito. Cristina Fernández in Kirchner non salirà alla Casa Rosada solo in quanto moglie del titolare uscente e come marionetta nelle sue mani. La presidenta ha alle sue spalle una militanza nelle file del partito peronista anche più lunga di quello del marito e una sua personalità forte e decisa. Sbaglia chi crede che la sua sia stata un’elezione per interposta persona. E’ pero altresì vero che dietro alla sua candidatura e alla sua vittoria sta la volontà di proseguimento di un progetto e di una modalità di gestione della cosa pubblica che ha caratterizzato gli ultimi anni della politica argentina. E’ probabilmente nelle cifre e nei risultati del governo del marito – eletto quasi per caso nel 2003 in un Argentina ancora sconvolta dal crack del settembre 2001 – che stanno le vere cause della vittoria schiacciante di Cristina Fernández

Negli anni della gestione Kirchner l’Argentina è cresciuta a “ritmi cinesi” con un tasso intorno al 9% annuo. Il tasso di popolazione sotto la soglia di povertà è passata nel giro di 5 anni dal 54% a poco più del 25%. Malgrado un’inflazione che negli ultimi due anni ha ripreso a galoppare oltre il 10% le classi meno abbienti hanno visto crescere il loro potere d’acquisto, ricevuto importanti sussidi, osservato innalzarsi i salari minimi. La politica di moderata ma ferma ri-statalizzazione di parte dell’economia argentina (tra i settori ritornati sotto il controllo dello stato ricordiamo le poste, l’acqua, parte della ferrovie) ha fatto recuperare sovranità al paese australe, mettendo fine alla vera e propria svendita degli anni del neoliberismo sfrenato di Menem&De la Rua e dando così solidità alla ripresa. Le esportazioni hanno ricominciato a crescere, seppur confinate – e questo si è un fattore di debolezza – a settori tradizionali come la carne o i cereali.

Anche i diritti umani hanno conosciuto finalmente una loro inaspettata primavera, grazia alla nuova e virtuosa politica dell’amministrazione Kirchner. Abrogate le leggi di Obbedienza Dovuta e di Punto Finale, le leggi che avevano perpetuato l’impunità dei militari (probabilmente per un tacito accordo) durante tutta l’era menemista, si è incominciato a “svuotare gli armadi” e a celebrare a ritmo incalzante i processi nei confronti dei torturatori e degli aguzzini degli anni della dittatura militare – ultimo in ordine temporale, ma non di importanza, quello al “cappellano della morte” Von Wernich. Un impegno straordinario – vero fiore all’occhiello del presidente uscente e del suo governo - che è riuscito addirittura a conquistare le Madres de Plaza de Mayo ed a far dire alla loro storica portavoce, Hebe de Bonafini che “el enemigo ya no està en el gobierno”.

Si può naturalmente dubitare della solidità di questo modello sul lungo periodo. Un modello che si è basato su un misto di pragmatismo e rigore, ma anche su una congiuntura economica positiva e su un’accorta politica di alleanze – prima tra tutte quella con il Venezuela di Hugo Chávez che si è impegnato addirittura nell’acquisto dell’ingente debito estero del paese. E’ lecito quindi ogni dubbio nei confronti della tenuta del “miracolo economico argentino” negli anni a venire, ma è innegabile tuttavia che dietro al successo elettorale di domenica di Cristina Fernández in Kirchner ci siano i numeri e la sostanza di un paese che da quando ha messo fine alla politica neoliberista esasperata del suo passato prossimo e dato il benservito ai cattivi e interessatissimi consigli del Fondo Monetario Internazionale ha inaugurato un circolo virtuoso dalle possibilità insperate. Passeggiare oggi per le vie di Buenos Aires vuol dire passeggiare per una città ricca e prospera lontana anni luce dalla città invasa dai cartoneros nell’autunno di sei anni fa – e che paradossalmente oggi volta la spalle proprio agli artefici della sua ripresa, imponendosi come roccaforte di Elisa Carriò.
Non è tutto rose e fiori ovviamente e le sacche di povertà che resistono nel paese, dalle villas miserias del Gran Buenos Aires (l’hinterland della capitale) alle provincie del nord andino sono lì a dimostrarlo. Ed è proprio questa la sfida che attende Cristina Fernández che dovrà passare dalla vuotezza di una campagna elettorale condotta vivendo sugli allori conquistati dal marito nella legislatura precedente ad una politica energica che sappia dare fondamenti stabili alla crescita argentina ed infondere maggiore radicalità nella lotta alla povertà - superando magari in questo anche la parziale moderazione in campo economico del marito. Per tacitare così tutti coloro che hanno visto nel “passaggio del testimone in famiglia” delle elezioni di domenica scorsa scarsa limpidezza democratica ed un retaggio del passato e presunto paternalismo peronista.

Articolo scritto per la rivista on-line Fusi Orari.

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