Come è ormai noto il Vaticano ha negato il placet al nuovo ambasciatore argentino presso la Santa Sede, Alberto Iribarne, cattolico fervente ed ex-ministro della giustizia nel governo di Nestor Kirchner. La ragione? Iribarne è divorziato. E quindi sgradito in Vaticano.
In molti, da entrambe le parti dell’oceano – ma suppongo più da questa – hanno considerato l’evento come l’ennesima recrudescenza nella politica intransigente in fatto di morale, da parte del pontificato ratzingeriano, già impegnato in più fronti contro l’aborto, i Pacs, ecc....
Ma si tratta di una spiegazione che non convince. Soprattutto considerando lo status matrimoniale dei politici più coccolati dalla Santa Sede negli ultimi tempi: i vari Fini, Casini, Berlusconi, tutti divorziati e conviventi (seppur tutti, ovviamente, convinti assertori della famiglia tradizionale).
Con buona probabilità quella del Vaticano è una ritorsione per un precedente preciso. Nel 2005 Kirchner desitituì il cappellano militare Baseotto. Baseotto personaggio dalla storia sinistra, tre anni fa disse che a suo parere il ministro Ginés González García – che si era pronunciato a favore dell’aborto – era da “tirar al mar atado a una piedra” (tr. “gettare a mare legato a una pietra”). Una frase che in Argentina è “impronunciabile” e che dimostra insensibilità e disprezzo per la sofferenza di migliaia di madri, padri, fratelli, figli delle persone fatte sparire durante l’ultima dittatura militare.
Kirchner chiese al Vaticano il ritiro di Baseotto. La Santa Sede e la Conferenza Episcopale argentina inizialmente temporeggiarono poi presero le difese del vescovo apologeta dei crimini della dittatura. Allora il governo argentino unilateralmente lo ricusò, provocando un conflitto con il Vaticano.
Un conflitto che è continuato latente in seguito, ma che evidentemente preoccupa non poco il governo di Buenos Aires, data l’enorme influenza che la Chiesa Cattolica (intesa come gerarchia e non come chiesa di base) ha ancora in Argentina e che può, all’occorrenza, veicolare in funzione anti-governativa. Esiste perlomeno un precedente illuminante.
L’anno scorso nella provincia di Misiones, profondo Nord del paese al confine con il Paraguay, il governatore Carlos Eduardo Rovira, fedele kirchnerista, propose una revisione della carta costituzionale della regione per poter essere rieletto indefinitamente – in maniera simile a quanto proposto da Chávez in Venezuela. Secondo molti si trattò di un test su scala regionale per sondare l’impatto sull’opinione pubblica di una analoga manovra su scala nazionale, (volta a permettere la ricandidatura indefinita di Kirchner). A guidare il fronte del No, contro la proposta del governatore fu Joaquín Piña, vescovo emerito di Puerto Iguazu, che diede vita a un vero e proprio movimento “politico”, il Frente Unidos por la Dignidad. E vinse, facendo ottenere al no un vantaggio in termini di voti del 13%.
Si trattava di una rivendicazione – quella di mantenere un tetto massimo di due legislature alla ricandidatura del governatore – assolutamente condivisibile, ma che nondimeno mostrò la capacità d’intervento nella sfera politica argentina da parte delle gerarchie cattoliche e che quindi spiega perfettamente la ricerca da parte del governo di Buenos Aires, di una via d’uscita “pacifica” dal contenzioso. Evitando così, dopo gli anni del gelo diplomatico dell’amministrazione Kirchner, l’escalation di uno scontro frontale.
Il difficile rapporto dell’oficialismo kirchnerista con la Chiesa cattolica è peraltro dimostrato da un altro caso recente che riguarda addirittura la roccaforte della coppia presidenziale, la patagonica provincia di Santa Cruz, vero trampolino di lancio dell’ex presidente (lì è stato in passato governatore per 12 anni, essendo riuscito ad abolire il famoso limite di due mandati alla ricandidatura). Anche qui un movimento contro il governatore kirchnerista locale Daniel Peralta - per chiedere salari più equi per i maestri della regione - è stato guidato da un vescovo Juan Carlos Romanín ed ha rischiato di influenzare le elezioni regionali – tenutasi ad ottobre in concomitanza delle elezioni presidenziali, con la riconferma dello stesso Peralta.
Si tratta di personaggi diversi e non raggruppabili in un unico calderone. Romanín o Piña non possono essere accostati al “videliano” Baseotto o all’eminenza grigia Bergoglio, o Martín de Elizalde e cosi via. Ma quel che è certo è che di fronte a questi precedenti, il governo argentino, che pure ha osato sfidare frontalmente la Chiesa nel caso di Baseotto, si trova a dover correre ai ripari e a cercare una mediazione che gli salvi la faccia, ma che al contempo permetta di non aggravare i rapporti con la Conferenza Episcopale argentina ed il Vaticano.
P.s. Un’ultima considerazione non lusinghiera nei confronti del Vaticano. Se la santa Sede ha mostrato subito le sue rimostranze nei confronti dell’ambasciatore divorziato, a 3 mesi dalla condanna, non si è ancora espressa sul caso dell’ex-cappellano militare Christian Von Wernich, colpevole dimostrato – preme ricordarlo – di 7 omicidi, 31 casi di tortura e 42 sequestri durante la dittatura di Videla & soci. Dopo un primo imbarazzante comunicato di basso profilo dal tono salomonico-cerchiobottista, da parte della Conferenza Episcopale argentina (per voce del vescovo Martín de Elizalde), la Chiesa non ha più ritenuto necessario pronunciarsi sulla questione, né punire il sanguinario cappellano. Il che significa che, per il Vaticano, Von Wernich, pur con la sua non invidiabile fedina penale, può continuare ad essere sacerdote nel pieno delle sue funzioni, senza temere alcunchè dal diritto canonico. Con buona pace delle sue vittime. Qualcosa fa pensare che se in Sudamerica la Chiesa non sostiene più dittatori sanguinari e tiranni non è perché sia cambiata, ma perché ad essere cambiato è lo stesso Sudamerica.
Ti piace questo post? Votalo su OkNotizie
1 commento:
Un'analisi precisa della situazione, bravo. Hai ragione quando dici che il potere della chiesa cattolica in argentina é un potere istituzionale piú che un potere di base. A differenza dell'italia qui non si vedono sacerdoti dare la loro opinione in tutti i telegiornali delle 20. E la conferenza episcopale non interviene tutti i santi giorni per esercitare pressione sull'agenda politica del paese. La presenza della chiesa é forte invece in altri momenti, come hai segnalato tu.
Posta un commento