martedì 1 gennaio 2008

BOLIVIA: VERSO LA STRATEGIA DELLA TENSIONE?

Anche se non ha causato nessuna vittima, l’attentato che, esattamente una settimana fa, il 24 dicembre, ha devastato la sede centrale della Cob (la Confederacion obrera boliviana) a La Paz è un segnale molto più che preoccupante. Tanto più se si considera che avrebbe potuto tranquillamente avere un esito molto più tragico. L’esplosione è avvenuta infatti vicinissimo alla camera da letto del dirigente sindacale Pedro Montes (che vive nella stessa sede della Cob), che ha quindi rischiato di rimanere colpito dall’esplosione.


“La ola de atentatodos llega a La Paz” titolava la Razon, il principale quotidiano boliviano, l’indomani, la mattina di Natale.
Lungi dall’essere un caso isolato, l’attacco terroristico si inscrive infatti in una lunga ed inquietante serie di episodi, che pongono una serie ipoteca sulla democraticità e la pacificità del confronto in atto nel paese tra “oficialismo” ed autoproclamatisi autonomisti della medialuna.

La “miccia” viene innescata per la prima volta lo scorso luglio: una bomba casalinga viene lanciata da una jeep all’indirizzo della casa del costituente del Mas Saul Avalos. Poi il 22 ottobre è la volta di due ordigni che esplodono a Santa Cruz, rispettivamente presso la residenza di alcuni medici cubani impegnati in uno dei vari progetti di cooperazione tra l’isola caraibica e il paese andino e all’ambasciata venezuelana. Tutto lascia pensare a un avvertimento contro Evo Morales e la sua politica estera nel seno dell’Alba (l’Alternativa bolivariana para las americas che vede affianco alla Bolivia, il Venezuela di Chávez, Cuba e il Nicaragua di Daniel Ortega).

Ma la “strategia della tensione” cresce di livello nel mese di dicembre dopo l’approvazione della costituzione nel Liceo Militar di Sucre e in mezzo alle scorrerie della UJC e di gruppi parafascisti vari in giro per il paese (con l’obbiettivo di sollecitare la cittadinanza boliviana, con le buone o con le cattive, ad aderire agli scioperi convocati dai prefetti della Media luna).
Il 10 dicembre infatti vengono lanciate granate contro la casa dell’esponente del Mas Osvaldo Paredo: la figlia undicenne ne esce miracolosamente illesa. Il 15 è poi la volta di un attentato al sesto piano della Corte di giustizia di Santa Cruz. Infine a ridosso del Natale – malgrado la tregua invocata da Evo Morales – si registrano altri tre attentati relativamente all’Hotel “Casa blanca” di Santa Cruz (tre giorni dopo che vi avesse soggiornato lo stesso Evo Morales), all’abitazione del masista Carlos Romero e infine – come detto – alla sede della Cob di La Paz.
Attentati pressoché tutti incruenti, ma che paiono far parte, data la loro somiglianza e la loro progressione, di un’unica strategia e che molti sospettano essere riconducibili alla gia citata UJC (Union juvenil cruceñista), formazione neofascista, che rappresenta in qualche modo grupo de choque (cioè il braccio militante e – verrebbe da dire - armato) del Comitè civico di Santa Cruz, vero motore delle rivendicazioni filo-separatiste dell’ Oriente del paese

Tuttavia in molti sui media mainstream boliviani e non solo attribuiscono l’escalation ”terroristica” al clima avvelenato che si respira nel paese, che vede da una parte il tentativo del Mas di portare a termine il disegno costituzionale con una ampia vittoria al prossimo referendum e dall’altra la violenta opposizione dei dipartimenti orientali, che dallo scorso 15 dicembre si sono proclamati unilateralmente autonomi.
In questa ottica andrebbero attribuiti a questo clima avvelenato anche i più rari episodi di violenza ascrivibili a frange estremiste di sostenitori del Mas, cosi come l’attentato dello scorso agosto ai danni della sede dello stesso Comite civico di Santa Cruz . Episodi che tuttavia per la loro maggior sporadicità e minor virulenza, difficilmente possono suscitare il sospetto di una regia o di una strategia precisa come quelli ai danni di obbiettivi “governativi”.

La sfida per la vittoria referendaria è appena cominciata e non è ancora possibile dare giudizi definitivi sulla “ola de atentados” ed esprimersi definitivamente sul loro probabile inquadramento in una precisa strategia.
Allo stato attuale è difficile pensare ad una strategia realmente eversiva e golpista da parte dell’opposizione autonomista. La situazione complessiva del Sudamerica (mai come ora spostato a sinistra) ed in particolare l’alleanza del paese andino con il Venezuela di Chàvez (che ha più volte minacciato di “vietnamizzare” la Bolivia in caso di rovesciamento violento del governo di Morales), rende improbabile qualunque tentazione golpista “classica” – che pure deve aver fatto capolino nei pensieri dell’opposizione in passato. La stessa strategia autonomista è con buona probabilità da leggersi come un ripiego rispetto ai piani eversivi e golpisti convenzionali. Ma è proprio in quest’ottica che prende consistenza l'ipotesi di una strategia dietro agli attentati, volta non a sovvertire direttamente il governo boliviano, quanto a destabilizzarlo e alla lunga ad alterare il cammino verso il referendum e i risultati di quest’ultimo.

I prossimi mesi serviranno a capire la tenuta tanto del governo del Mas che della fragile democrazia boliviana. Così come le reali possibilità di cambiamento di un paese ancora vittima degli interessi di piccole oligarchie che non accettano – al di là di qualunque retorica sulla natura centripeta o centrifuga del futuro stato boliviano – la nazionalizzazione delle risorse energetiche e la radicale riforma agraria promosse dal governo di Evo Morales. Perché è inutile nasconderselo, dietro all’accelerazione subita dalle spinte separatiste nelle ultime settimane c’è il tentativo forsennato di un pugno di latifondisti di sfuggire agli effetti del famoso articolo 398 della costituzione, quello che prevede un limite – la cui entità (5000 o 10000 ettari) sarà decisa da un’ apposito referendum - alla concentrazione delle terre.

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