martedì 9 ottobre 2007

ERNESTO CHE GUEVARA, QUARANT'ANNI DOPO

"Soprattutto, siate sempre capaci di sentire nel più profondo qualsiasi ingiustizia commessa in qualunque parte del mondo. È la qualità più bella di un rivoluzionario"

Ernesto Guevara della Serna, detto Che, 1965


Per ricordare Ernesto Guevara a quarant’anni dalla sua morte ho scelto questa frase dalla lettera ai figli. E’ quella che ho sempre sentito più mia. Ed è forse anche quella più universalmente condivisibile; condivisibile anche da chi, non-violento, rifiuta l'idea della lotta armata. Concerne quella capacità di indignarci, sempre e comunque di fronte all’ingiustizia. Quella capacità che Ernesto aveva acquisito viaggiando in lungo e largo per l’America Latina, vedendo e toccando con mano le sue molteplici vene aperte. Quella capacità che purtroppo oggi ci porta ad indignarci anche per lo svilimento ad icona pop della sua figura, operato da migliaia di adulatori farisei sparsi per tutto il mondo.

domenica 7 ottobre 2007

IN PRINCIPO ERA IL VERBO. E IL NEOLIBERISMO ERA IL VERBO

Oggi ascoltavo con interesse l’intervista della sempre dannosa Lucia Annunziata al ministro Padoa Schioppa. Tra le tante domande inerenti alla neonata finanziaria, a un certo punto la solita fatidica domanda: “Cosa pensa di fare rispetto al problema più grave dell’Italia degli ultimi anni, la spesa pubblica”?


La maggiorparte dei telespettatori l’avrà sentita senza farci caso, come d’abitudine. A furia di sentirselo dire che la spesa pubblica è un problema, ormai ne siamo tutti convinti. La spesa pubblica è un problema. Ma la spesa pubblica è davvero un problema?

All’origine c’è la comunità europea che stabilisce il rapporto deficit/Pil non oltre il 3% - rapporto peraltro discutibile, ma soprasediamo. L’Italia è stata lungo al di sopra di questo rapporto. Ma ora le cifre parlano chiaro: l’Italia è all’ 1,7 nel rapporto deficit/Pil. E lo ha fatto senza ricorrere a (ulteriori) tagli della spesa pubblica, ma semplicemente ricorrendo a una vigorosa lotta all’evasione fiscale. Lo ha fatto attraverso l’extragettito. Obbiettivo raggiunto, tutti contenti, no? Invece no, perché la spesa pubblica non è stata tagliata.

Ogni paese dovrebbe avere il diritto di gestirsi i conti come meglio crede. Ci sono diversi modi di raggiungere un certo livello di bilancio. Riduzione della spesa certo, ma anche lotta agli sprechi, aumento delle imposte, recupero dell’evasione fiscale, ecc…Noi l’abbiamo raggiunto mettendo fine a una falla decennale: quella di un’evasione fiscale che era la più alta del mondo occidentale. Tutto a posto dunque, no? E invece no, bisognava tagliare la spesa pubblica.

Tagliare la spesa pubblica non è più una questione funzionale o meno a un progetto politico ed economico. E’ un dogma. E’ il dogma dell’unica vera grande religione che il mondo occidentale riconosca nell’era postmoderna in cui viviamo: il neoliberismo. E il taglio della spesa pubblica, la privatizzazione e l’esternalizzazione che ne consegue sono il cardine di ogni ricetta neoliberista. In realtà non sono assolutamente necessarie al recupero del rapporto deficit/Pil, come dimostra quanto avvenuto negli ultimi mesi. Ne è detto che aiutino il pareggio di bilancio, altro punto cardine del neoliberismo. Non parliamo poi del loro effetto sull’economia globale, sullo sviluppo, sulla diffusione della ricchezza.

Ma la questione è un’altra. Che importanza ha dimostrarne l’inutilità di una cosa quando ormai questa è assurta a dogma di fede, a verità rivelata? Si può forse dimostrare l’inutilità delle religioni, delle fedi? Possono valere le argomentazioni razionali nei confronti di dogmi inculcati nelle menti di centinaia di migliaia di inconsapevoli ed ossequienti fedeli sparsi ormai in tutto il mondo occidentale? Qualcuno può metter in discussione una religione?

Il taglio della spesa pubblica così come il neoliberismo non sono più una forma applicabile o meno da stati e governi. Sono diventati dopo anni di sermoni mediatici l’unica via possibile, l’unica soluzione, l’unica verità, per folle sempre più grandi. Non è più il tempo di “Nulla salus extra ecclesia”. Ora il nuovo verbo è “Nulla salus extra mercato”.

Ti piace questo post? Votalo su OkNotizie

giovedì 4 ottobre 2007

VIVERE BENE

Riprendo dall’ottimo blog VivaBolivia – strumento imprescindibile per conoscere più a fondo uno dei paesi che mi è più caro in assoluto – uno stralcio tradotto da un’intervista a Evo Morales. Una sorta di manifesto per il cosiddetto socialismo del XXI secolo e per ogni idea di sviluppo sostenibile. Oltrechè una lezione di dignità, che viene da un presidente che qualcuno ritiene impresentabile e da un paese che secoli di sfruttamento hanno reso il più povero del Sudamerica.


Il “vivere bene” è vivere in eguaglianza e giustizia. Dove non ci sono espropriati ne espropriatori, dove non ci sono esclusi ne quelli che escludono, dove non ci sono emarginati né coloro che emarginano. Il « vivere bene » è vivere in comunità, in collettività, in reciprocità, in solidarietà e soprattutto in complementarietà.
Il “
vivere bene” non è la stessa cosa che il“vivere meglio”, il vivere meglio dell’altro. Perché il vivere meglio, rispetto al prossimo, rende necessario espropriare , instilla la rivalità, concentra la ricchezza in poche mani. Allora, si produce una profonda competizione, alcuni vogliono vivere meglio e questo porta altri, la maggioranza a vivere male. C’è una grande differenza, perché il vivere bene è vivere in uguaglianza di condizioni ,il vivere meglio è egoismo, disinteresse per gli altri, individualismo.
Il “
vivere bene” è opposto al lusso, all’opulenza, allo spreco, è contrario al consumismo. Non si capisce come in alcuni paesi del nord, nelle grandi metropoli per esempio, ci sono persone che comprano un vestito, lo usano una volta, e poi lo buttano via. Se non hai interesse per la vita degli altri, rimane solo l’interesse individuale, al massimo per la propria famiglia. La mancanza di interesse per gli altri, genera, allora, oligarchia, nobiltà, aristocrazia, elites che pretendono sempre di vivere meglio sulle spalle degli altri"

Ti piace questo post? Votalo su OkNotizie

lunedì 1 ottobre 2007

MESSICO - DEMOCRAZIA ALLA DERIVA?

Censurata la presidente della Camera. Anche questo, a quanto pare, è successo nel nuovo Messico di Felipe Calderón, il presidente andato al potere lo scorso autunno tra giganteschi sospetti di brogli elettorali.
E’ accaduto lo scorso 1 settembre, ma non ha purtroppo avuto lo spazio che meritava sui media internazionali. Era il giorno della presentazione in Parlamento dell’annuale informe del presidente della Repubblica. La cerimonia voleva che Ruth Zavaleta, la presidente della Camera ricevesse direttamente l’informe dalle mani di Calderón. Ma la Zavaleta, appartenente al PRD, il partito di centrosinistra “frodato” alle ultime elezioni politiche, aveva annunciato da giorni che appena prima della consegna avrebbe pronunciato un discorso motivando il proprio rifiuto a ricevere l’informe dal presidente – lasciando così l’incarico al vice. Quindi sarebbe uscita dall’aula parlamentare insieme a tutti i compagni di partito del PRD, in segno di protesta contro l’illegittimità dello stesso Calderón.
Ed invece all’ultimo momento un inquietante “problema tecnico” ha colpito il CEPROPIE (Centro de Producción de Programas Informativos y Especiales de la Presidencia de la República), l’organo presidenziale incaricato di riprendere la cerimonia, impedendo a Televisa e Tv Azteca, le due uniche tv nazionali in chiaro del paese di trasmettere l’avvenimento.
Inconveniente (ovviamente) risolto subito, giusto in tempo per poter mandare in onda la consegna della relazione da parte di Calderón. Ma nel frattempo tanto il polemico discorso della Zavaleta, che l’uscita dall’aula dei parlamentari del PRD era stata oscurata a milioni di messicani che in diretta Tv stavano seguendo l’avvenimento.


Davvero solo un incidente? E’ difficile crederlo dal momento che l’episodio rappresenta soltanto l’ultimo di una lunga serie di inquietanti segnali sul (cattivo) stato della democrazia messicana e sui limiti della libertà di espressione nel paese.

Il biglietto da visita del nuovo Messico “legge & ordine” lo si era avuto lo scorso autunno. Il passaggio di consegne tra Fox – l’ex- presidente messicano, compagno di partito (PAN) di Calderón - non era ancora ultimato che già la mattanza di Oaxaca riempiva le pagine dei giornali. La protesta di questa tranquilla città del sud contro il proprio governatore corrotto e autoritario veniva repressa nel sangue, con l’aiuto di reparti speciali della Policia Federal Preventiva mandati appositamente da Città del Messico. Più di venti i morti, centinaia gli arresti e le deportazioni forzate in carceri speciali a centinaia di chilometri di distanza, decine le denunce di torture e violenze, secondo auterevoli organizzazioni per i diritti umani come le messicane RODH (Red oaxaqueña por los derechos humanos) e LIMEDDH (Liga mexicana por la defensa de los derechos humanos) ed Amnesty International.

Niente di nuovo purtroppo nel Messico attuale: già a maggio 2006 un’analoga repressione aveva colpito gli abitanti di San Salvador Atenco nell’entroterra di Città del Messico (rei di opporsi al progetto di costruzione di un centro commerciale) e ancora prima l’esercito aveva soffocato nel sangue, nello stato di Michoacán, una serie di scioperi dei minatori. Ma con qualcosa in più: i segni di un‘escalation repressiva, il campanello d’allarme sul pugno di ferro in agguato contro i movimenti sociali che avevano accompagnato la lunga contesa elettorale chiusasi poco prima, tra evidenze di brogli di tutti i tipi.
E a “rincarare la dose” poco dopo, il neopresidente Calderón era apparso alla televisione in abiti militari – cosa mai avvenuta in precedenza nella storia recente del Messico – e aveva quindi proposto una serie di riforme in materia di sicurezza tra cui l’aumento dello stipendio dei militari e la possibilità di realizzare intercettazioni telefoniche e perquisizioni senza mandato. Subito dopo aveva proceduto alla nomina del controverso Ramírez Acuña (sul suo capo pesano ben 640 denunce di tortura) a ministro degli Interni e al raddoppio degli effettivi della Policia Federal preventiva.

Negli ultimi mesi tanto Amnesty International che Human Rights Watch hanno segnalato frequenti violazioni dei diritti umani nel paese così come un atteggiamento di patente impunità rispetto agli abusi rilevati nelle vicende di Atenco e Oaxaca. Soprattutto, a detta delle due organizzazioni per i diritti umani, particolare preoccupazione desta l’escalation di violenza nei confronti dei giornalisti che mette a serio rischio la possibilità di libera informazione nel paese centroamericano.
Nel solo 2006 infatti, in Messico, sono stati uccisi ben 9 giornalisti – peggio è andata solo in Iraq – e nei primi mesi del 2007 ne sono già stati ammazzati o fatti sparire altri 4. Casi di censura, spionaggio e intimidazione sono stati riportati in diverse regioni del paese – da Puebla, a Guanajuato a Sonora.

Ed è anche il sistema radiotelevisivo del paese a essere sul banco degli imputati. Le uniche due televisioni nazionali in chiaro – Televisa e Tv Azteca- che configurano di fatto un duopolio, sono entrambe legate a doppio filo al PAN, il partito di governo. Nella campagna elettorale che ha portato alla contestata vittoria di Calderón, queste ultime, violando ogni possibile rispetto della par condicio, hanno scagliato contro gli spettatori messicani qualcosa come due milioni di spot a favore del candidato del PAN, infilandoli in mezzo a qualunque trasmissione, dalle telenovele alle cronache di eventi sportivi. Chiunque abbia avuto modo di vedere le due emittenti almeno una volta conosce il loro potere deformante della realtà: in un paese popolato al 90% da meticci, pressoché qualunque trasmissione viene condotta da bianchi.

E triste così constatare che tra minacce di repressione nei confronti dei movimenti sociali, violazioni ripetute dei diritti umani, assenza di trasparenza, il Messico, unico paese dell’America Latina a non aver conosciuto nella sua storia recente dittatori sanguinari, desaparecidos di massa e violente insurrezioni militari – malgrado alcuni gravi episodi di guerra sporca come la strage della Piazza delle Tre Culture – si avvii a diventare fanalino di coda tra i paesi al di sotto del Rio Bravo. Mentre l’America del Sud inizia finalmente a conoscere elezioni trasparenti, pace sociale, rispetto dei diritti umani (si veda per esempio la fine dell’impunità per i torturatori della dittatura in Argentina) il Messico sembra sempre più retrocedere ed imboccare una pericolosa deriva autoritaria, che lo allontana dagli importanti progressi del resto del subcontinente.

Articolo scritto per la rivista on-line Fusi Orari.

Ti piace questo post? Votalo su OkNotizie

domenica 30 settembre 2007

CARI MAZZA E PANSA, DOV'E' FINITO IL VOSTRO SDEGNO PER L'INCITAMENTO ALLA VIOLENZA?

La vicenda la conoscete tutti: ieri il "sempreverde" Senatur Umberto Bossi ha detto che è pronto a lanciare “la lotta di liberazione” del popolo padano fuori dalla aule parlamentari e che ci sono un milione di militanti pronti a seguirlo.

Si tratta solo dell’ultima sparata di un leader al tramonto e si spera che anch’essa, esattamente come le molte altre che l'hanno preceduta, sia destinata a rimanere senza seguito.
Ma si tratta comunque di dichiarazioni gravissime che, esattamente come quella sui fucili di qualche settimana fa, incita alla sovversione, all’eversione anche (armata) nei confronti dello Stato, alla violenza.

La domanda allora viene spontanea. Dove sono finiti - ora che i toni si fanno davvero violenti - i vari Mazza e Pansa? Quelli che qualche giorno fa sostenevano che dal Grillo al grilletto il passo è breve? Dove sono finiti i loro editoriali preoccupati e accorati sul pericolo di un incitamento all’odio e alla violenza? Dove sono le parole di queste Cassandre che prevedevano una nuova stagione di piombo a causa dei vaffanculo del comico genovese?

Come è possibile che adesso che qualcuno incita davvero alla violenza- e non solamente a un discutibile ma innocuo spernacchio liberatorio verso il potere – tacciano e non facciano più sentire i loro duri ammonimenti?

Forse perché qualcuno, a cui in un modo o nell’altro devono rendere conto non avrebbe gradito? Forse perché il loro “coraggio” nel parlare di alcune cose è proporzionale solo alla ipocrisia nel tacerne altre? Qual è la ragione dei due pesi e due misure?
Qualunque ne sia la ragione, il loro silenzio è dimostrazione inequivocabile della loro pochezza e della loro disonestà intellettuale.

Ti piace questo post? Votalo su OkNotizie

venerdì 28 settembre 2007

BIRMANIA LIBERA!

giovedì 27 settembre 2007

GRILLO: ALBERTO SORDI...TE LO MERITI!

Ieri, spiegando ad una persona di sinistra le mie perplessità sul fenomeno Grillo, sulla sua pericolosa assenza di contenuti e soprattutto di orientamenti politici, mi sono sentito ripetere per la quinta volta in pochi giorni che in questa fase storica bisogna superare le categorie destra-sinistra e unirsi per risolvere i problemi più urgenti sul tappeto – in che modo ovviamente non è dato saperlo...

Non ce l’ho fatta più e gli ho gridato “Alberto Sordi, te lo meriti!”, così come Nanni Moretti faceva in quel famoso film di trent'anni fa, allorchè si sentiva dire da un avventore in un bar che in Italia ormai non c'è più differenza tra niente e nessuno e che "rossi e neri son tutti uguali".

Al di là del minimo comun denominatore offerto dall'indecoroso stipendio dei parlamentari - su cui effettivamente tutti da An e Rifondazione possiamo essre d'accordo - davvero qualcuno crede che ci sia anche uno solo dei problemi italiani che possa essere risolto indistamente da destra o da sinistra? Davvero qualcuno crede in questi "discorsi da bar"?

E soprattutto qualcuno potrebbe spiegarmi cosa ci ha condotto a questa "emancipazione" dei discorsi da bar? Solo il fatto che per una volta siano stati incoraggiati da un pulpito più auterevole?

Ti piace questo post? Votalo su OkNotizie

lunedì 24 settembre 2007

¡JUSTICIA YA!

Giustizia per i martiri di La Cantuta e Barrios Altos. Giustizia per le migliaia di vittime della guerra sporca e di La Colina. Giustizia per i guerriglieri dell'Mrta trucidati nell'ambasciata giapponese. E vergogna per chi sostenne e sostiene l'ultimo della lunga sequela di tremendi dittatori che, col consenso di Washington, hanno insaguinato il Sudamerica.

Ricerca Google

Google