venerdì 26 ottobre 2007

"GUATEMALA IL PAESE SENZA SINISTRA". INTERVISTA A DANTE LIANO.

Dante Liano è uno dei più importanti intellettuali e scrittori guatemaltechi. Da anni vive in Italia e insegna lettura ispanoamericana all’Università Cattolica di Milano. Ma continua a seguire con passione le vicende del suo paese. In passato infatti ha collaborato a lungo con Rigoberta Menchú, di cui ha curato diverse pubblicazioni.
E’ quindi la persona ideale per commentare il risultato del primo turno delle recenti elezioni guatemalteche. Elezioni che hanno visto, come noto, il fallimento della candidatura di Rigoberta Menchú, non andata oltre il 3% dei voti e quindi la delusione rispetto alla possibilità di un riscatto indigeno alle elezioni. Possibilità, forse rimandata alle prossime consultazioni, previste per il 2012.
Nel frattempo al ballottaggio del 4 novembre, si sfideranno Álvaro Colom dell’Unidad Nacional de la Esperanza (UNE) partito di centro che ha ottenuto il 28,9 dei consensi e Otto Pérez Molina attestatosi, con il suo Partido Patriota (PP) al 23, 5 delle preferenze. Quest’ultimo, candidato della destra e personaggio dal passato oscuro - è stato membro della Direzione di intelligence militare e dello Stato maggiore nei primi anni novanta, nonché informatore della Cia - è stato protagonista di una grande rimonta, verosimilmente grazie alle sue promesse di ordine e sicurezza.
Altro elemento preoccupante è l’elezione a deputato di Efraín Ríos Montt, il sanguinario dittatore a capo del paese nei primi anni ottanta, tra i maggiori responsabili del genocidio degli indios perpetrato durante i quarant’anni della guerra civile.

- Innanzitutto, qual è il suo giudizio sui risultati dal primo turno? Si aspettava il testa a testa tra Colom e Pérez?

Si era ampiamente prevedibile. Bastava avere un’idea generale del Guatemala per aspettarsi un risultato di questo tipo. L’unico dato forse un po’ sorprendente è che il partito di governo, la Gran Alianza Naciónal (GANA) del presidente uscente Óscar Berger non sia andata oltre il terzo posto, seppur con molti più volti di quelli che si aspettava. [per l’esattezza 526 000, il 17, 2 delle preferenze n.d.r.]

Come giudica il risultato modesto di Encuentro por Guatemala, il partito di Rigoberta Menchú?

Purtroppo non è molto sorprendente che Rigoberta abbia preso solo il 3% dei voti che, in termini concreti, sono circa 100 000 voti. Ciò che stupisce semmai è il divario con alcuni sondaggi fatti l’anno scorso, secondo i quali il 71% dei guatemaltechi avrebbe visto bene Rigoberta come presidente. Questo significa che un conto è la simpatia per un personaggio in vista, e un conto sono le reali intenzioni di voto.
Il vero dato preoccupante è che Rigoberta abbia preso meno voti del suo acerimmo nemico, il generale Ríos Montt. Cosi come il fatto che con queste elezioni siano praticamente scomparsi gli unici due partiti di sinistra guatemaltechi – Encuentro por Guatemala di Rigoberta Menchú è piuttosto un partito di centro-sinistra. Questo significa che in Guatemala oggigiorno non esiste una vera sinistra. E in una democrazia davvero compiuta è importante veder rappresentato tutto lo spettro politico.

Ma quali sono secondo lei le cause della sconfitta della Menchú?

Ci sono fondamentalmente due ragioni. La prima è il fattore-tempo: Rigoberta si è candidata a febbraio, e una campagna condotta in così pochi mesi ha scarse possibilità di successo. Poi c’è una questione economica: mentre i suoi avversari hanno potuto disporre di milioni di quetzales per la campagna elettorale, Rigoberta ne ha spesi solo 53000, l’equivalente di 5300 euro. Una cifra ridicola. Questo significa che non ha potuto realizzare tanti spot e apparizioni televisive. E purtroppo anche nei dibattiti a cui è stata invitata, non è riuscita a essere incisiva come quando parla dal vivo a grandi masse di persone.
Inoltre bisogna tener conto che Encuentro por Guatemala è un partito molto piccolo, poco radicato sul territorio. E poi c’è il fatto che in Guatemala le elezioni tradizionalmente si vincono con i regali. Camicie, sacchi di fertilizzante regalati alle popolazione nelle campagne. Rigoberta invece ha promesso dignità e non è scesa a compromessi con nessuno. Questo, in assenza di un’organizzazione partitica capillare, non ha pagato.

Crede che possa aver influito, in questo fallimento, l’atteggiamento della Menchú rispetto alla candidatura di Ríos Montt, il suo non averlo attaccato, e non aver preso parte alla denuncia del giudice spagnolo Santiago Pedraz?

Può essere un fattore. Qualcuno può averci visto una specie di tradimento. Ma di sicuro non è stato determinante – del resto Ríos Montt è stato eletto. Può invece aver influito il fatto che la Menchú fosse stato ambasciatrice per la pace nel governo di Berger. Il contatto con il potere a volte viene interpretato negativamente.

La campagna elettorale è stata la più violenta della storia guatemalteca. Quali sono state per lei le cause di quest’esplosione di violenza? E quanto può aver agevolato questo clima la rimonta di Pérez – il cui slogan era “Vota con mano dura”?

Purtroppo la violenza in Guatemala non è una novità. All’origine c’è la violenza della guerra civile. Finita la guerra si è trasformata in violenza comune, delinquenza. Molti di coloro che hanno preso parte alla guerra si sono riciclati, soprattutto nel narcotraffico. E tutto ciò ha generato grande insicurezza, tanto in città che nelle campagne. Oggi in Guatemala si può morire per il furto di un telefonino. La grande criminalità investe soprattutto sul narcotraffico – il Guatemala è paese di passaggio della cocaina che dalla Colombia va agli Stati Uniti –, sui migranti diretti verso gli Usa e sul traffico di bambini. Quindi la promessa di Pérez Molina di ristabilire immediatamente ordine e sicurezza fa grande presa. Il problema è che lui ipotizza risposte violente. Il che genera scenari terribili che in Guatemala già conosciamo. Ai tempi di Ríos Montt c’erano i tribunali speciali che condannavano e uccidevano i delinquenti. Hanno ammazzato un sacco di gente, ma non hanno risolto nulla e ora siamo daccapo.

Pérez Molina, con i suoi trascorsi torbidi può essere un pericolo per la democrazia? Tra l’altro vuole tornare ad applicare la pena di morte, come Alan García in Perù…

No, non credo che sia una minaccia per la democrazia. In altri paesi dell’America Centrale si sono fatti esperimenti simili. In Honduras, per esempio, le bande giovanili sono state quasi sterminate. Ma poi si sono rigenerate e il paese non ha risolto nulla. Credo che Pérez Molina, se eletto, non possa durare più di una legislatura. Semmai il pericolo è che vuoti le casse dello stato. Perché spesso in Guatemala si entra alla casa presidenziale a mani vuote e se ne esci arricchiti – c’è stato anche chi ne è uscito proprietario di un’isola nell’Oceano Atlantico [Cerezo Arévalo, il primo presidente democratico del Guatemala, dopo la dittatura n.d.r.]

La grande stampa internazionale ha spesso omesso il fatto che Ríos Montt sia tornato in parlamento. Cosa significa la sua elezione, e quanto intralcerà la battaglia per la giustizia rispetto agli anni del genocidio?

Nulla. La sua impunità era di fatto già stata sanzionata negli accordi di pace del ’96. Personalmente non credo che la giustizia rispetto agli anni del genocidio possa fare passi avanti. La gente in Guatemala vuole guardare al futuro. La memoria storica è già stata giudicata ed è già stata data una sanzione politica e morale. Non bisogna dimenticare che la guerra civile l’hanno vinta i militari. Non l’hanno vinta le forze democratiche. E i militari continuano in qualche modo a essere al potere. La democrazia si esprime solo nelle elezioni. Ma per il resto il paese deve ancora camminare tantissimo. Certo, si sta meglio oggi che ai tempi della dittatura. Ma non abbiamo comunque una democrazia così come la intendete voi in Europa.

Cosa ne pensa di Colom? In caso di vittoria, quanto crede che cambieranno o non cambieranno le cose in Guatemala? Ci si può aspettare un avvicinamento del Guatemala ai governi progressisti dell’America Latina o il Guatemala rimarrà nell’orbita di Washington? A quanto pare infatti Colom non sembra disposto a mettere in discussione il Trattato di Libero commercio con gli Usa…

Credo che Colom rappresenti la continuità. Anche perché non ha un vero programma. Prevede qualche lieve riforma, ma non i cambiamenti radicali di cui un paese come il nostro avrebbe bisogno. Noi siamo tradizionalmente nell’orbita più stretta di Washington e non credo che nessuno abbia il coraggio di spostarsi di lì. Certo non Colom. Magari in futuro, ma non ora. In ogni caso io spero in una vittoria di Colom al ballottaggio, perché con Pérez Molina si rischia l’imbarbarimento, l’incancrimento dei nostri problemi.

Rispetto al 2012 vede qualche possibilità che anche in Guatemala possa nascere un movimento indigeno forte, come quello, per esempio, che ha portato alla vittoria di Evo Morales in Bolivia?

E’ molto probabile. Ci sono tanti intellettuali indigeni, che purtroppo non si conoscono fuori dal Guatemala, ma che stanno creando una coscienza forte all’interno del popolo maya. E la popolazione indigena è quella che da più speranza. Non è mai stata al potere, pur avendo una cultura solida e profonda. E’ l’unica che può proporre una vera alternativa. E in Guatemala abbiamo quanto mai bisogno di un profondo cambio di classe politica.

Intervista realizzata per il settimanale on-line Fusi Orari

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3 commenti:

A. ha detto...

bravo francesco, bella intervista!!!!

Anonimo ha detto...

Grazie per questa intervista.
Il professor Liano è un uomo semplicemente eccezionale. Ho avuto la fortuna di seguire le sue lezioni di letteratura ispano-americana e di laurearmi con lui alla Cattolica. Non lo ringrazierò mai abbastanza per tutto quello che mi ha insegnato, non solo a livello scolastico ma soprattutto a livello umano. E' un vero Professore, di quelli che non si trovano quasi più ormai.
Grazie!

Camminare domandando ha detto...

Valentina, ti ringrazio. Il merito comunque è soprattutto suo. Liano è un intellettuale come purtroppo ormai in Italia ormai ce ne sono pochi: un intelletuale con una coscienza civile forte, che non concepisce la cultura e la letteratura come un esercizio bizantino, ma come un modo di interagire con gli altri e la realtà.
A presto
Francesco

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