SADDAM E LA PENA DI MORTE
Buona lettura.
La condanna a morte del rais incancrenisce il conflitto in Iraq e rilancia il dibattito globale sulla pena capitale. Ma, dietro le quinte, fa comodo a qualcuno.
Anche Fusi Orari partecipa a quanto pare al rutilante dibattito sulla pena di morte che la barbara esecuzione, di Saddam Hussein ha provocato nel bel paese, con il solito contorno di nani e ballerine e talk-show spazzatura nei programmi domenicali. Visto che già altri si sono cimentati aggiungo anch’io un’ulteriore voce alla querelle che ha visto il provocatorio e (non me ne voglia) fuorviante articolo di Guzzetti e il sostanzialmente condivisibile (ma con qualche distinguo) articolo di Bessi.
La questione della legittimità della pena di morte non si pone caso per caso e soprattutto riguarda la giustizia all’interno dei tribunali, non la vendetta, la faida, la lotta partigiana condotta fuori dalle aule di giustizia. Da non-violento inorridisco all’idea che Saddam potesse venire ucciso da un parente di una delle sue vittime sciite o curde. Da non-violento, non avrei mai voluto vedere Mussolini appeso in Piazzale Loreto, ma piuttosto in carcere per tutta la vita a riflettere sul suo abominio. Ma da cittadino so anche che la sua morte non l’ha imposta un tribunale, né uno stato, nè un’istituzione. La sua morte l’ha prodotta la decisione del singolo partigiano che l’ha ucciso, o quella dei componenti la cellula del Cln che ha deciso la sua uccisione. E qui sta la differenza. L’esecuzione a caldo non sancisce nulla, placa il desiderio di vendetta di molti, ma non legittima alcunché. La condanna a morte, inflitta da un giudice in un’aula di tribunale (di pace o marziale, legittimo o fantoccio che sia), legittima la più tremenda barbarie che la civiltà moderna può produrre: l’idea che lo stato possa farsi arbitro della vita e della morte delle persone. Qui sta la differenza tra l’uccisione del singolo e quella dello stato. E non c’entra il colore degli stracci. Qui risiede il discrimine tra barbarie e civiltà del diritto.
Ma dietro alla condanna di Saddam Hussein c’è anche altro, e l’assordante silenzio sulle vere ragioni della sua rapidissima esecuzione sorprende e non poco. Saddam infatti è stato condannato a morte per un massacro “minore” e “precoce”. Esattamente per la strage di 148 sciti nel
Eliminando subito Saddam si assolve allorac anche la rete di complicità internazionali che lo rese così forte ed in grado di essere il dittatore sanguinario che tutti abbiamo conosciuto. E anche qui, chi oggi plaude al cappio, non si poneva certo il problema negli anni ’80 quando Saddam era un comodo alleato. Ma in fondo non è tanto importante chiedersi oggi di che colore erano gli stracci che nei bui anni ’80 chiedevano che non venisse fabbricato in provetta un altro mostro come Bin Laden o Pinochet. Ma piuttosto adoperarsi perchè questo non succeda più.
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