lunedì 19 novembre 2007

CASO BREGANTINI - SE LA 'NDRANGHETA E' PIU' FORTE DELLA CHIESA

Promoveatur ut amoveatur. Promuovere per rimuovere ed allontanare. E’ questa la formula che la Chiesa utilizza (non solo la Chiesa certo, ma troppo spesso la Chiesa) per “liberarsi” di alcune sue voci molto illuminate se diventano troppo scomode. Una strategia che la Chiesa ha applicato innumerevoli volte, dall’Italia al Sudamerica, alternandola con l’altro espediente di successo di accettare le formali dimissioni di vescovi e prelati per “sopraggiunti limiti di età”, per congedarli anticipatamente dal loro incarico (si vedano al proposito i casi di Bettazzi o Camara).

Alla luce di questa consuetudine è oggettivamente difficile considerare in una prospettiva diversa da quella della rimozione, l’insperata “promozione” del vescovo di Locri Giancarlo Bregantini alla carica di arcivescovo metropolita di Campobasso (che tra l’altro è dubbia anche come promozione, dato che l’arcidiocesi di Campobasso, per quanto più prestigiosa, ha un bacino di fedeli più piccolo di quella di Locri).
Ma quandanche si volesse trovare una spiegazione differente dall’”amoveatur” – per esempio un desiderio di protezione nei confronti di un personaggio nel mirino delle organizzazioni malavitose – non si può non porsi il problema dei valori simbolici che una tale decisione reca con sè. Non si può cioè non farsi prendere dal sospetto di un cedimento alla logica ricattatoria della mafia, al gioco al rialzo proprio delle cosche.

Trentino d’origine, Giancarlo Bregantini era stato nominato vescovo di Locri nel 1994. E sin da subito aveva dimostrato di che pasta fosse fatto. Malgrado le intimidazioni, per prima cosa aveva fatto distribuire in tutte le parrocchie della diocesi una lista con i nomi dei 263 morti degli ultimi dieci anni. Quindi un libro di preghiere in sfida alla mafia. Ed aveva cominciato, senza mai tirarsi indietro, a tuonare contro gli orrori della ‘ndrangheta e soprattutto - cosa non da poco in certi contesti – a chiamarla con il suo nome. Era arrivato addirittura a chiedere la scomunica per i malavitosi – ma la Chiesa aveva nicchiato, più propensa a utilizzare quest’ultima ratio solo per quelle questioni (bio)etiche che ha scelto come campo privilegiato, quando non unico, del suo intervento nella vita pubblica.
Non lo aveva spaventato neppure l’escalation degli ultimi tempi, l’omicidio Fortugno e il clima di patente impunità e di trasversale collusione. Forse sull’esempio di Libera di Don Ciotti, Bregantini aveva fondato la Cooperativa Valle del Buon Amico con l’intento di riutilizzare le terre confiscate alla criminalità organizzata per sviluppare progetti agricoli “virtuosi,” sottratti al controllo delle organizzazioni della ‘ndrangheta . In breve tempo la Cooperativa Valle del Buon amico era diventata la realtà agricola più importante dell’intera Calabria. Ed era stata fatta prevedibilmente oggetto di intimidazioni ed attacchi di stampo mafioso.
Ma anche in quel caso il coraggioso vescovo di origine trentina non si era tirato indietro ed anzi aveva rincarato la dose contro la criminalità organizzata della regione del Sud italia.
Le associazioni contro la mafia, prima fra tutte “Ammazzateci tutti”, l’associazione che fa a capo ai ragazzi di Locri, l’avevano scelto come guida spirituale e voce autorevole nella lotta alla malavita.
Rumores di un suo trasferimento si erano già avuti in passato, ma erano sembrati privi di fondamento. Fino a che, fulmine a ciel sereno, non è arrivata la notizia del “prestigioso” trasferimento.

L’ovvia domanda che viene ora da porsi è a chi giovi una tale manovra, invisa persino al beneficiario stesso della presunta promozione, che ha anzi affermato di lasciare Locri con dolore.
Soprattutto viene da chiedersi quale sia il segnale che una tale decisione possa lanciare in una terra straziata dal cancro di una malavita annidata in tutti i gangli della vita pubblica. Una terra che vive una crisi politica quasi irreversibile, dominata da trasformismo e da clientelarismo diffusi e che ha più o meno tacitamente e consapevolmente fatto propria la prospettiva “lunardiana” del convivere con la mafia.
In mezzo a tutto questo, la voce di Bregantini era una voce forte che non si accontentava dei borbottii e delle condanne di circostanza dei più. Forse era l’unica voce autorevole nella chiesa che avesse fatto davvero proprio il duro monito lanciato a Palermo contro i mafiosi da Giovanni Paolo II, quasi quindici anni fa, al grido “Convertitevi”. La Chiesa che tutto fagocita e tutto rende inoffensivo, come ai tempi di S.Francesco ed Innocenzo III, sembra già aver vanificato dietro al clamore di tanti “santo subito” anche quella presa di posizione, che tra tante iniziative discutibili del defunto pontefice, era stata invece più che meritoria.

C’è poi un’ulteriore possibile chiave di lettura della vicenda, che viene azzardata in questi giorni dalla prestigiosa agenzia di stampa cattolica “Adista” e che può servire a integrare quella di un semplice cedimento alle minacce della mafia. All’interno di una chiesa sempre più “normalizzata” dall’intervento di Ruini & soci, la voce di Brigantini appariva come una voce difforme e progressista. Pur senza mai esasperare i toni, l’ormai ex-vescovo della Locride si era aperto al dialogo con le realtà critiche nei confronti della Chiesa, aveva preso posizioni esplicite contro la guerra in Iraq ed aveva addirittura firmato, anni fa’, un documento di Pax Christi che chiedeva la smilitarizzazione dei cappellani militari – un po’ come sosteneva Don Lorenzo Milani ormai quarant’anni fa. Inoltre Bregantini aveva più volte affermato che la Chiesa doveva mettere la questione della legalità e dei problemi del Mezzogiorno al centro della propria agenda. Come dire che probabilmente la situazione era da tempo tesa e che forse sola ora si è deciso per un provvedimento che, sotto le vesti di una lusinga, serve a neutralizzare e a circoscrivere l’operato di un personaggio scomodo.

Un piccolo appunto per chiudere: qualche tempo fa era giunta nella Locride una piccola suora, ai più sconosciuta, per collaborare con i progetti di Monsignor Bregantini. Si chiama Carolina Iavazzo ed era stata a lungo il più importante sostegno dell’attività pastorale di Don Pino Puglisi al Brancaccio. Poi consumatasi la tragedia che tutti conosciamo, era rimasta sola e soltanto tempo dopo era riuscita a farsi trasferire nella Locride presso Bregantini e a riannodare, in un altro contesto, i fili di un lavoro interrotto bruscamente da alcune pallottole in una calda giornata di settembre del 1993. Ora, purtroppo, Carolina sarà di nuovo sola e lei - come molti altri in quelle terre - dovranno ricominciare un’altra volta tutto da capo.

Articolo scritto per la rivista on-line Fusi Orari.

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1 commento:

Anonimo ha detto...

Complimenti, bell'articolo.
Purtroppo la risposta alla domanda "a chi giova tutto questo?" è assai inquitante... penso che tutti lo immaginino, ma nessuno nella "sala dei bottoni" del clero sarebbe pronto a dare una risposta convincente...

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