martedì 13 marzo 2007

ABU OMAR, UNO SCANDALO CHE NON FA ABBASTANZA SCANDALO

Ben due notizie nelle ultime settimane hanno riportato agli onori della cronaca il controverso caso Abu Omar. La prima, la più nota, è, il rifiuto del governo americano di concedere l’estradizione dei 26 agenti della Cia rinviati a giudizio dalla procura di Milano. Un rifiuto che non giunge certo inaspettato e non soltanto perché si inserisce in una consuetudine di rapporti tra dipartimento di stato americano e giustizia italiana - si vedano a proposito il caso Calipari e la tragedia del Cermis. Ma anche – e soprattutto - perché a Washington non è stata inoltrata alcuna richiesta ufficiale del governo italiano. Il non certo coraggioso ministro Mastella ha infatti deciso di non procedere ad alcuna rogatoria ufficiale, non dimostrandosi in questo molto diverso dal suo predecessore Castelli che non si pronunciò mai a favore del rientro in Italia del terrorista nero Delfo Zorzi.

La seconda notizia – più incoraggiante – è invece la presentazione al parlamento europeo di una relazione sulle extraordinary renditions, frutto del tenace lavoro del deputato diessino Claudio Fava. Questa relazione, approvata con una discreta maggioranza esprime una recisa condanna degli oltre 1245 voli “straordinari” decollati negli ultimi anni da e verso gli aeroporti di 12 stati europei. Voli che servivano a trasportare i presunti terroristi (molti dei quali presto scagionati) all’estero, a farsi interrogare in outsorcing, cioè per conto degli americani, ma lontano dagli Stati Uniti. In paesi come la Libia o l’Egitto nei quali, a quanto pare, l’”esportazione della democrazia” tanto cara agli Usa non è mai avvenuta completamente, ed è ancora possibile, all’occorrenza, torturare un po’ i detenuti.

Malgrado questa ripresa d’interesse dei media per il caso Abu Omar, è tuttavia probabile che non tutti conoscano a fondo i dettagli della vicenda. Ripercoriamoli brevemente. Il 17 febbraio del 2003 Abu Omar viene “prelevato” a Milano in via Guerzoni, a due passi dalla moschea di Viale Jenner. All’epoca, il cittadino egiziano ha 40 anni ed è in Italia addirittura come rifugiato politico, in quanto appartenente, nel suo paese, all’opposizione filo-integralista di Al Jama’a Al Islamica che gli Stati Uniti ritengono un braccio operativo di Al-Qaeda. Secondo il pm D’Ambruoso che all’epoca sta indagando su di lui per i sospetti di terrorismo, Abu Omar è avvicinato da un gruppo di 17 persone e caricato su un furgone bianco. Da qui viene trasportato alla base di Aviano, dove è interrogato e sottoposto a violenze. Poi tre diversi aerei lo portano in tre tappe al Cairo. Nella capitale egiziana gli viene proposto di lavorare come infiltrato per i servizi segreti americani. In questo modo potrebbe ritornare in Italia in 48 ore. Abu Omar ovviamente rifiuta e inizia allora per lui un periodo di torture durissime: viene sottoposto a rumori fortissimi che li provocano danni all’udito, viene rinchiuso in saune e celle frigorifere, viene appeso a testa in giù e gli vengono applicati elettrodi ai genitali. Poi il 20 aprile lo lasciano libero, ma intimandogli di non parlare con nessuno. Divieto che il prigioniero contravviene ritrovandosi così nuovamente in carcere dove rimarrà fino al febbraio di quest’anno.

La prima e più ovvia domanda che si pone rispetto a tutta questa vicenda è chi siano davvero gli autori del sequestro. In altre parole, la Cia ha agito da sola o ha trovato se non un aiuto concreto, perlomeno una sponda nei servizi segreti italiani? Non è un mistero per nessuno infatti che l’intelligence statunitense in questi anni abbia dato vita in numerosi paesi ai famigerati Ctic (Counter Terrorism Intelligence Centers) sorta di agenzie congiunte tra nuclei operativi degli Cia e servizi segreti stranieri, con l’obbiettivo di contrastare il terrorismo. A Parigi l’Alliance Base ha addirittura riunito in una sorta di multinazionale dello spionaggio agenti francesi, inglesi, australiani e canadesi. E non pochi analisti hanno messo in correlazione questi organismi con la politica delle extraordinary renditions. Anche in Italia è avvenuto qualcosa di simile?
Secondo gli inquirenti (il giudice D’Ambruoso prima e poi i procuratori aggiunti Spataro e Pomarici, succedutigli nel corso dell’inchiesta), il sequestro di Abu Omar sarebbe stato un progetto di Jeff Castelli, all’epoca responsabile Cia in Italia, il quale avrebbe trovato una sponda nell’ex capo del Sismi Niccolò Pollari, e nel suo braccio destro Marco Mancini - quest’ultimo è implicato anche in un’altra inchiesta che ha fatto scandalo negli ultimi tempi, quella sulle intercettazioni abusive in casa Telecom.
Secondo quanto emerso dalle indagini di Spataro e Pomarici, Mancini, uno spregiudicato ex-maresciallo dei carabinieri resosi protagonista di un’ascesa rapidissima all’interno del Sismi – tanto da diventarne in brevissimo tempo il responsabile per il Nord-Italia – avrebbe provveduto poco prima del sequestro a rimuovere tutti i capicentro del servizio segreto nel Nord-Italia rimpiazzandoli con propri uomini fidati, disponibili a partecipare anche ad «attività non-ortodosse» (quali per l’appunto, un rapimento).
Così il Sog (Special Operation Group) entrato in azione quel 17 febbraio 2003 per rapire Abu Omar avrebbe avuto l’esplicito sostegno del Sismi, e ne avrebbe addirittura fatto parte un maresciallo dei Ros, Luciano Pironi (detto Ludwig) vicino al capoantenna della Cia a Milano, Robert Seldon Lady.
L’ordine di assecondare e agevolare il sequestro, in ogni caso, sarebbe venuto dall’alto, dallo stesso Pollari, il quale infatti figura nel registro degli indagati accanto al generale Gustavo Pignero (suo n. 2 all’epoca dei fatti) allo stesso Marco Mancini e ai 26 agenti Cia (tra i quali Seldon Lady e Castelli). Pollari ha ripetuto più volte di non potersi difendere, poiché per farlo sarebbe costretto a desecretare alcuni documenti coperti da segreto di stato. Ipotesi che ha ricevuto un inquietante bocciatura bipartisan, che va dai maggiorenti di Forza Italia al vicepresidente del consiglio Francesco Rutelli. Una dichiarazione di Fabrizio Ghioni, dirigente della sicurezza Telecom indagato nell’inchiesta parallela sulle intercettazioni Telecom, secondo le quale Mancini avrebbe ottenuto il via libera addirittura dall’ex-sottosegretario alla presidenza del consiglio Gianni Letta, getta un’ombra sinistra sulle possibili ragioni di questo rifiuto.
In ogni caso sotto accusa è tutta la gestione del Sismi degli ultimi anni, gli anni del tandem Pollari-Mancini Al troncone principale dell’inchiesta sul caso Abu Omar s’intrecciano infatti altre inchieste e altre vicende dai contorni sinistri. Come quella dell’ufficio di Via Nazionale, sorta di centrale organizzata del depistaggio in cui ai comandi dell’enigmatico Pio Pompa rispondevano addirittura alcuni giornalisti, come Renato Farina alias agente Betulla, il cui ruolo nel “ritardare” e confondere le indagini sul caso Abu Omar sarebbe stato tutt’altro che di secondo piano. O come la vicenda Nigergate (il finto dossier che avrebbe provato il possesso di armi nucleari da parte di Saddam Hussein, fabbricato, a quanto pare, proprio dagli 007 italiani). E ancora il caso Telekom Serbia (comprensivo dei vari Scaramella di turno), il già citato caso delle intercettazioni illegali in casa Telecom e poi tutta una serie di presunti allarmi terroristici sventati e subito rivendicati come grandi successi dei nostri servizi segreti ma sulla cui reale autencità in molti hanno espresso seri dubbi (si vedano il caso della sfuggente scuola di kamikaze scoperta a Milano e quello degli attentati ai giochi olimpici di Torino e alla stazione Centale di Milano).
Insomma, quello che si delinea è, senza grandi giri di parole, il quadro della più grave crisi di credibilità dei nostri servizi segreti dai tempi delle trame nere, dello stragismo e di Gladio. Una crisi alla quale il governo di centro-sinistra in carica ha risposto con un atteggiamento ondivago e ambiguo finendo addirittura per promuovere i personaggi sui quali gravano le accuse più serie (come Pollari divenuto nientemeno che consigliere di Stato, o Pio Pompa, finito a lavorare al ministero della Difesa).
Nella Spagna della deriva zapaterista (che come deriva è certamente sui generis visto il grande impegno profuso per la tutela dei diritti umani) un caso di extraordinary rendition similare ha fatto saltare il segreto di stato.
La revisione del segreto di stato è peraltro presente (insieme ad un’idea di riforma globale dei servizi segreti) anche a pag. 81 del programma dell’Unione. Ma in tempi di Prodi bis e tavole della legge imposte dall’alto finirà con buona probabilità nel dimenticatoio (ovviamente with a little help from Rossi&Turigliatto…)
Quanto poi alle implicazioni di tutto ciò sui nostri rapporti con il grande alleato a stelle e strisce, il discorso ci porterebbe lontano. Ci costringerebbe a riflettere su quella strana parola che più di ogni altra sembra aver avuto negli ultimi tempi interpretazioni contrastanti e slittamenti semantici: discontinuità.

(Articolo scritto per la rivista on-line Fusi Orari)

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